Incidente? Attentato? Ognuno ha il suo interesse nella tragedia dell’aereo russo caduto nel Sinai

I jihadisti rivendicano l'attentato, americani e inglesi danno loro ragione, l'Egitto nega con forza e la Russia sta alla finestra. Nessuno aspetta le conclusioni dell'indagine ufficiale

È stato un attentato come dicono gli inglesi? Un’operazione dell’Isis come sostenuto dalla Cia e dagli stessi jihadisti? O un banale incidente come ribadito da Russia e Abdel Fattah Al-Sisi? Si rincorrono senza sosta le voci e le ipotesi sulle responsabilità dello schianto dell’Airbus russo A321, partito sabato da Sharm el Sheikh e diretto a San Pietroburgo, ma precipitato nel Sinai. A bordo si trovavano 217 passeggeri e sette membri dell’equipaggio, tutti morti.
Sull’incidente, il più grande della storia dell’aviazione russa, è stata aperta subito un’inchiesta congiunta dei paesi coinvolti: Egitto (luogo dell’incidente), Russia (compagnia aerea), Irlanda (Stato di registrazione del mezzo), Francia (Stato di design) e Germania (Stato di manifattura). L’incidente è importante, può essere utilizzato per diversi scopi e poiché tutti gli attori coinvolti hanno interessi da difendere, scoprire la verità non sarà facile.

STATO ISLAMICO. Poche ore dopo il disastro aereo, l’Isis ha rivendicato la paternità dell’attentato. I jihadisti si sono spesso attribuiti attacchi in giro per il mondo senza che fosse possibile verificare la veridicità di simili affermazioni. Anche in questo caso, l’interesse è chiaro: oltre a farsi pubblicità nell’ambiente jihadista, poiché quasi tutte le vittime sono di nazionalità russa, l’Isis può vendere al mondo l’attentato come una clamorosa risposta all’intervento russo in Siria in aiuto dell’esercito di Bashar al-Assad. Nei giorni scorsi, i jihadisti hanno rivendicato l’attacco una seconda volta, dichiarando però di non potere ancora rivelare come ci siano riusciti, ma minacciando Putin: «Sei un maiale, invaderemo il tuo paese, uccideremo la tua gente».

EGITTO/ECONOMIA. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è affrettato a definire «propaganda» la rivendicazione dell’Isis. I perché di tanta fretta si possono immaginare facilmente. Al-Sisi ha solo da perdere in questo disastro per motivi economici e politici. Prima di tutto, se si trattasse di un attentato, la località turistica per eccellenza dell’Egitto, Sharm el Sheikh, non potrebbe essere più considerata sicura. Come per la Tunisia, anche per l’Egitto la ripresa economica è fondamentale per la rinascita del paese dopo la Primavera araba e il governo dei Fratelli Musulmani. Un attentato così ben riuscito rischierebbe di far crollare il turismo e con esso la ripresa economica, aumentando l’instabilità del paese.

EGITTO/POLITICA. Inoltre, dal punto di vista politico Al-Sisi rischia. L’Egitto è nel bel mezzo di una delle tornate elettorali più importanti della sua storia: la nomina del nuovo Parlamento, che permetterebbe al paese di avere così sia il presidente che l’Assemblea eletti dal popolo. La coalizione del presidente è in vantaggio, ma l’ex generale ha sempre sostenuto come il suo primo compito sia quello di garantire la sicurezza degli egiziani contro il terrorismo, soprattutto nel Sinai: un attentato di queste proporzioni potrebbe delegittimarlo.

INGHILTERRA E STATI UNITI. Proprio nel giorno in cui il presidente egiziano si trovava a Londra in visita di Stato, l’Inghilterra ha rilasciato un comunicato che ha rovinato (per usare un eufemismo) il clima di accoglienza: «Alla luce delle informazioni raccolte riteniamo che l’aereo sia stato abbattuto da un ordigno esplosivo, sebbene non possiamo affermarlo con assoluta certezza». La Cia ha rincarato la dose: «È stata Isis a mettere la bomba».

OBAMA VS PUTIN. Ma Inghilterra e Stati Uniti hanno tutto l’interesse a riconoscere la matrice terroristica dell’incidente. Entrambi in Siria sostengono i ribelli “moderati”, che sul campo sono alleati anche con la fazione siriana di Al-Qaeda, e hanno come obiettivo dichiarato quello di abbattere il governo di Assad, alleato di Putin. Sia Londra che Washington hanno criticato l’invio dell’esercito russo in Siria e non aspettano altro che sottolineare le ripercussioni negative di questo intervento e la debolezza russa in materia di sicurezza. Per quanto riguarda il rapporto generale con Mosca, è ai minimi storici da anni e Putin è diventato il nemico numero uno di Barack Obama.
Alcuni indizi portano a pensare che la pista jihadista sia quella giusta, ma ancora non c’è nessuna certezza. E per tutti questi motivi è meglio andarci cauti e aspettare i risultati di indagini più approfondite prima di tirare le dovute conclusioni.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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