Come sapeva il prete di Bernanos, «tutto è grazia», e l’unica alternativa a questa evidenza sono i soldi. È il denaro il più potente surrogato alla chiamata alla Ragione che ciascuno riceve affacciandosi alla creazione – «le vere realtà della vita», come le chiamava Hannah Arendt, «amore, alberi, bambini, musica» – uscendo dal grembo di sua madre. A un certo punto, però, nel mondo che calchiamo nella presunzione di essere noi i liberi pensatori e lui il cretino che si illude di dettarci i pensieri, tutto comincia a puzzare e a dire: «Quello che merita fare, merita farlo per soldi». Ideale borghese. Anche se lo stipendio è da commessa.
Possiedo. Quindi dispongo. Dunque sono.
Sotto questo profilo, anche il Califfato ha una sua quotazione in Borsa. I jihadisti sono un’impresa. E senza i petrodollari, tutta la loro prosopopea si schianterebbe nel ridicolo. L’ultima scalcagnata carovana di beduini li andrebbe a prendere e li userebbe come somari per trainare datteri e banane. Neppure il fatto che tu ami la morte più di quanto io ami la vita farebbe notizia. Ti troverebbero appeso al sifone del water e ti derubricherebbero a vittima della depressione. Invece i soldi hanno reso il jihad un affare da statuine di Hollywood, diciamo, “genere horror”.
Ci importa niente delle celebrazioni in sé. Piuttosto, nella Bibbia c’è una preghiera che dice suppergiù «Signore non farci troppo ricchi per non dimenticarti e non farci troppo poveri per non bestemmiarti». Tutti siamo costantemente messi tra la dimenticanza e la bestemmia. Tra il borghesismo e la disperazione. Ma Dio è sceso sulla terra ed Egli è qui. Ce lo ha insegnato Cl. Perciò sentiamo Camus. Che come il presentimento di “vita” della Luisa da Cremona nella rubrica delle lettere*, non è denaro, non è borghese, non è deserto.
*Gentile redazione, non ho acquistato Tempi per un anno. «Tanto non lo leggo». Non era quello il vero motivo ma la sofferenza interiore nel leggere (non solo, ma anche) di quanto la Verità, la Giustizia e la Bellezza e la Ragionevolezza dell’incontro con il Signore vengano quotidianamente soppresse. Da qualche mese Tempi è ritornato a essere una presenza fisica in casa («Hai letto l’articolo della Corradi?», posso dire ai miei figli). «È meglio essere tristi, altrimenti saremmo disperati»: attraverso le parole di Amicone in una trasmissione radio ho capito che dovevo farci i conti, fino in fondo, con quella sofferenza interiore, perché «solo dall’accettazione nasce il fiore» (ancora il direttore).
Luisa Granata, Cremona