In piazza San Pietro da papa Francesco non per celebrare Cl, ma per un presentimento di “vita”

Tutti siamo costantemente messi tra il borghesismo e la disperazione, tra la dimenticanza e la bestemmia. Ma Dio è sceso sulla terra ed Egli è qui. Ce lo ha insegnato don Giussani. I sessant'anni del movimento in piazza San Pietro

Mentre pasteggiavamo con un vinello in caraffa in un locale tipico del proletariato metropolitano, il papà di un ragazzino liceale ci ha detto che suo figlio è un fan di Tempi. Quel ragazzino ha ragione. In verità Tempi esiste per lui. Infatti, se il direttore di un grande giornale può rassegnarsi al tran tran del libero pensatore, noi cani di piccola taglia abbiamo il collare di Camus. «Io mi sento umile solo davanti alle vite più povere e alle grandi avventure dello spirito. Tra queste due cose c’è un mondo che fa ridere». Per dirlo altrimenti. Si dice che il fondatore di un importante quotidiano che ancora oggi detta legge, abdicò andando in pensione con un assegno da 100 miliardi di vecchie lire. Ovvio che poi gli diventò facile proseguire la carriera al cospetto di “Io”e filosofare con papi e cardinali alla sagra di “a me Dio non fa una piega” (però più si avvicina l’ultima fermata, più si infiltra un “si sa mai”).

Come sapeva il prete di Bernanos, «tutto è grazia», e l’unica alternativa a questa evidenza sono i soldi. È il denaro il più potente surrogato alla chiamata alla Ragione che ciascuno riceve affacciandosi alla creazione – «le vere realtà della vita», come le chiamava Hannah Arendt, «amore, alberi, bambini, musica» – uscendo dal grembo di sua madre. A un certo punto, però, nel mondo che calchiamo nella presunzione di essere noi i liberi pensatori e lui il cretino che si illude di dettarci i pensieri, tutto comincia a puzzare e a dire: «Quello che merita fare, merita farlo per soldi». Ideale borghese. Anche se lo stipendio è da commessa.

Possiedo. Quindi dispongo. Dunque sono.

Sotto questo profilo, anche il Califfato ha una sua quotazione in Borsa. I jihadisti sono un’impresa. E senza i petrodollari, tutta la loro prosopopea si schianterebbe nel ridicolo. L’ultima scalcagnata carovana di beduini li andrebbe a prendere e li userebbe come somari per trainare datteri e banane. Neppure il fatto che tu ami la morte più di quanto io ami la vita farebbe notizia. Ti troverebbero appeso al sifone del water e ti derubricherebbero a vittima della depressione. Invece i soldi hanno reso il jihad un affare da statuine di Hollywood, diciamo, “genere horror”.

Insomma, l’abbiamo presa alla larga, volevamo arrivare a questi benedetti 60 anni di Cl. Che sono un po’ anche i nostri. Sabato 7 marzo andremo a festeggiarli a piazza San Pietro con papa Francesco. Festeggiare che?

Ci importa niente delle celebrazioni in sé. Piuttosto, nella Bibbia c’è una preghiera che dice suppergiù «Signore non farci troppo ricchi per non dimenticarti e non farci troppo poveri per non bestemmiarti». Tutti siamo costantemente messi tra la dimenticanza e la bestemmia. Tra il borghesismo e la disperazione. Ma Dio è sceso sulla terra ed Egli è qui. Ce lo ha insegnato Cl. Perciò sentiamo Camus. Che come il presentimento di “vita” della Luisa da Cremona nella rubrica delle lettere*, non è denaro, non è borghese, non è deserto.

@LuigiAmicone

*Gentile redazione, non ho acquistato Tempi per un anno. «Tanto non lo leggo». Non era quello il vero motivo ma la sofferenza interiore nel leggere (non solo, ma anche) di quanto la Verità, la Giustizia e la Bellezza e la Ragionevolezza dell’incontro con il Signore vengano quotidianamente soppresse. Da qualche mese Tempi è ritornato a essere una presenza fisica in casa («Hai letto l’articolo della Corradi?», posso dire ai miei figli). «È meglio essere tristi, altrimenti saremmo disperati»: attraverso le parole di Amicone in una trasmissione radio ho capito che dovevo farci i conti, fino in fondo, con quella sofferenza interiore, perché «solo dall’accettazione nasce il fiore» (ancora il direttore).
Luisa Granata, Cremona

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