Ilva, stop allo scarico di materie prime al porto

Lo hanno deciso i custodi giudiziari dello stabilimento. L'obiettivo è ridurre i cumuli di polveri dell'area parchi. I sindacati: «La fabbrica così rischia la paralisi». Ferrante: «L'Ilva continuerà a produrre»

117 mila tonnellate di minerali e altre 47 mila di carbone: in queste ore al porto di Taranto due motonavi scaricano quelli che, per il momento, sembrano destinati ad essere gli ultimi container di materie prime destinati all’Ilva. Da ieri si è entrati nella fase attuativa del sequestro preventivo dello stabilimento, che tra l’altro comporta anche il blocco dei rifornimenti all’area parchi, una delle zone sottoposte a sequestro.

Il provvedimento deciso dai custodi è seguito alla richiesta del procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, di velocizziare le procedure per contenere le emissioni nocive. Le polveri minerarie che devono essere lavorate, stoccate in una zona dello stabilimento, si disperdono nell’aria non appena si solleva il vento e sono tra i principali inquinanti responsabili non solo della strana colorazione (rossa o rosata) che si può notare visivamente nelle case del quartiere residenziale Tamburi, proprio accanto allo stabilimento, ma anche causa scatenante dei tumori che hanno afflitto decine di pazienti, secondo le perizie mediche consegnate al Gip. La direttiva firmata da Sebastio prevede che «tale disposizione sia adottata al fine di consentire la riduzione dei cumuli stoccati ed in attesa di interventi sostanziali».

I TIMORI DEI SINDACATI. Questa decisione, secondo Antonio Talò, segretario provinciale Uilm, comporta gravi rischi: «Se si fermano gli altiforni si ferma tutto il resto. Si sta interrompendo l’inizio del ciclo vitale, se non ci sono i minerali non si può marciare. Non ci dobbiamo prendere in giro, se si bloccano i rifornimenti, gli impianti possono rimanere in marcia al massimo 15 o 20 giorni, un mese, ma non di più». La preoccupazione per i tagli eventuali alle forze lavoro in fabbrica cresce, anche se gli stessi custodi giudiziari hanno anticipato che proprio per gli interventi di riambientalizzazione necessari all’Ilva contano di assorbire «diverse migliaia di operatori dell’indotto».

FERRANTE: «L’ILVA NON SI BLOCCA». E in uno strano gioco invertito di ruoli, a dare rassicurazioni sulla prosecuzione delle attività in fabbrica è il custode giudiziario-presidente dello stabilimento Bruno Ferrante, che ha replicato: «Non c’è un blocco totale dell’attività perché altrimenti gli impianti verrebbero compromessi inevitabilmente. Così non è, si tratta di ridurre la quantità di minerali nello stabilimento». Ferrante ha spiegato che il provvedimento mira a diminuire l’altezza dei cumuli di minerali, che essendo ancora allo scoperto, più facilmente si disperdono se stipati in grandi quantità.

Una delle misure già adottate dall’Ilva per affrontare il problema, sarebbe quella di destinare maggiori operatori del servizio di “bagnatura”: dal 10 settembre, suddivisi in sette turni, alcuni operai lavoreranno per 24 ore al giorno per impedire le dispersioni, inumidendo e appesantendo con l’acqua i depositi.

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