Il tragico errore di Putin

La responsabilità della guerra cade tutta sul presidente russo che ha invaso l’Ucraina. Intanto prendiamo qualche appunto a margine: l’azzardo Usa, la debole Europa, l’appello del Papa

Il presidente russo Vladimir Putin

La scellerata mossa di Vladimir Putin non può che portare caos e violenza. Un intervento così muscolare in Ucraina non era stato preventivato da nessuno, nemmeno dai suoi peggiori nemici e una ragione c’è: per la stessa Russia è una decisione gravida di conseguenze negative.

Molti analisti – e pure noi – pensavano che l’invasione non sarebbe mai avvenuta. È questo forse un baco del nostro modo di vedere le cose, abituato a soppesare tutto secondo lo schema “costi e benefici”. E poiché lo schema ci portava a escludere l’intervento… lo escludevamo. E invece.

E invece le vicende umane sono un impasto di razionalità e irrazionalità e la geopolitica e gli interessi economici possono dirci molto, ma non tutto. C’è un fattore (nefasto) di imponderabilità che, con lo schieramento dei carri armati, ora aumenta. Il rischio della rovina – che fino a un giorno fa era solo ipotizzabile – diventa concreto.

Lo scenario peggiore

Cambiato lo scenario ci ritroviamo a porci nuovi interrogativi. Putin ha attaccato per “distogliere l’attenzione” dalle beghe interne russe? Per sfruttare l’impreparazione degli occidentali, colpire duro e quindi tornare al tavolo delle trattative da una posizione di forza? Come può l’Occidente non intervenire? Se non prende posizione, adesso, sull’Ucraina, cosa accadrà un domani altrove? Lasceremo Taiwan ai cinesi? L’Armenia ai turchi? La Bosnia ai serbi?

Sono domande cui si potrà dare risposta solo nei prossimi giorni. Sicuramente il presidente russo ha fatto una mossa che contiene un azzardo perché, appunto, ora nulla si può escludere, nemmeno lo scenario più cupo.

L’errore americano

Intanto seguiamo la cronaca e converrà prendere su un quadernino qualche appunto, come scrive il nostro Lodovico Festa, così da parlarne, a sangue freddo, quando ci sarà il tempo. Perché se Putin è stato un folle – e va bene –, qualche parolina sugli Stati Uniti dovremo pur dirla. E non solo per l’assurda strategia degli ultimi giorni, improntata quasi più a “dare un pretesto allo Zar” che non a scongiurare l’attacco. Ma anche per l’idea – e questa è una storia che inizia dal crollo sovietico – di dipingere l’orso russo come un nemico famelico, cui fare una continua “guerra” a bassa intensità, attirando sempre più paesi nell’orbita Nato.

Ragionando freddamente, non si può non chiedersi il senso di una strategia occidentale che ci ha portati fino a questo punto, cioè al punto di avere affollato di armamenti i paesi intorno alla Russia. Lo ha spiegato bene Sergio Romano: «Come ci sarebbe parso se la struttura militare del mondo che si contrappone a noi avesse messo radici in Svizzera, a un tiro di schioppo da Milano? Sarebbe o no stata destabilizzante questa situazione?».

I sonnambuli europei

E qualche appunto dovremo prenderlo anche sulla condizione di “vaso di coccio” europeo, militarmente e idealmente collegato agli Stati Uniti, ma economicamente ed energeticamente legato al suo avversario russo.

Settant’anni di pace ci hanno rammollito, e questa è una constatazione lapalissiana. L’improvviso rimbombo dei cannoni e delle sirene di Kiev ci risvegliano dal nostro lungo e agiato letargo, facendoci così scoprire in un baleno – come scrive il nostro ottimo Casadei – che è illusorio pensare di restare nella nostra condizione di imbelli sonnambuli.

L’appello del Papa

Ha scritto l’Osservatore romano che «la responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro paese», ma che questa situazione è figlia di «errori del passato che non stanno tutti da una sola parte». È in questo contesto che l’invito di papa Francesco alla preghiera e al digiuno diventa non l’utopica aspirazione dello sprovveduto che non sa più che altro fare, ma il più ragionevole richiamo ad affidare la nostra speranza a chi ha in mano i destini del mondo. E che non sta seduto in un palazzo a Mosca o a Washington.

Foto Ansa

Exit mobile version