Il nuovo Csm a trazione grillino-davighiana

Dopo il caso Palamara si va verso una nuova composizione del Csm, in cui a contare di più saranno le istanze dei giustizialisti

Il ribaltone grillino-davighiano nel Consiglio superiore della magistratura è compiuto. Mentre i risvolti giudiziari dello scandalo sulle nomine delle toghe sono ancora da chiarire, le conseguenze sulla composizione del Consiglio sono già evidenti e potrebbero determinare un brusco cambio di rotta nella direzione politica dell’organo di autogoverno della magistratura: se fino all’esplosione dello scandalo a guidare il Csm è stato un orientamento che potremmo definire “moderato”, fondato sulla presenza dei membri appartenenti a Magistratura Indipendente e Unicost (sei componenti per entrambi), con il sostegno variabile dei quattro membri laici di Forza Italia e Lega, la vicenda esplosa negli ultimi giorni ha già scompaginato le carte in tavola, producendo un Consiglio dove a farla da padrone è la compagine più vicina alle posizioni del Movimento 5 Stelle, composta dal gruppo togato dell’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo (Autonomia e Indipendenza) e dai componenti laici grillini.

Chi subentra, cosa cambia

Le dimissioni dei consiglieri Gianluigi Morlini (Unicost) e Corrado Cartoni (Magistratura Indipendente) determineranno il subentro dei primi due giudici non eletti alle votazioni dello scorso anno per il rinnovo del Csm, Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, entrambi appartenenti ad Autonomia e Indipendenza. Nel giro di pochi giorni, così, la corrente davighiana ha visto raddoppiare la rappresentanza al Csm, arrivando a quota quattro.

Per sostituire i due consiglieri dimissionari in quota pubblici ministeri (Antonio Lepre e Luigi Spina), invece, occorrerà attendere le elezioni suppletive indette per il 6 e 7 ottobre prossimi dal capo dello Stato Sergio Mattarella. Ma visti i duri colpi subiti, in termini di credibilità, dai gruppi coinvolti nello scandalo (Mi e Unicost), la corrente davighiana punta a passare alla “cassa” anche in quell’occasione, conquistando una o due poltrone, a seconda del risultato che otterrà l’altro gruppo non toccato dal caso nomine, cioè il cartello di sinistra Area (composto da Magistratura Democratica e Movimento per la giustizia).

Le redini del Csm

A ottobre, insomma, la corrente di Davigo potrebbe ritrovarsi con cinque o sei componenti togati (un bel salto in avanti rispetto ai due attuali), e contare sul supporto dei tre membri laici indicati dal Movimento 5 Stelle per giocare un ruolo pivotale all’interno del Consiglio. Magistratura Indipendente e Unicost, invece, dovrebbero crollare con molta probabilità a tre membri togati ciascuno, con l’aggiunta dei membri di diritto rappresentati dai vertici di Cassazione Giovanni Mammone e Riccardo Fuzio, destinati peraltro ad andare in pensione a dicembre 2020 nel caso non siano introdotte proroghe.

Il programma davighiano

Il blocco grillino-davighiano, così, potrebbe prendere le redini del Csm, offrendo una solida sponda al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, in particolare sulle tanto attese riforme del processo penale e civile, che si annunciano collocarsi nel solco del forcaiolismo che ha accompagnato i provvedimenti legislativi in materia di giustizia nel primo anno di governo. La sintonia tra la corrente di Davigo e il M5S è sotto gli occhi di tutti. Il programma sulla giustizia presentato dai grillini nel luglio 2017 ricalcava, in maniera quasi integrale, le proposte dell’ex pm di Mani pulite. Durante il primo anno di governo gialloverde, Davigo si è espresso a favore della riforma “spazzacorrotti, soprattutto per gli aumenti di pena e per l’introduzione dell’agente sotto copertura (meno per il daspo ai corrotti), ha visto trionfare la sua proposta di abolizione della prescrizione dopo una sentenza di primo grado (seppur con una riforma che entrerà in vigore nel 2020) e ha visto accolti anche i suoi auspici per uno stop alla revisione della disciplina delle intercettazioni (“Non servono giri di vite”).

Ora si guarderà alla riforma del processo penale, in forza del rinnovato potere in Csm. Davigo sostiene la necessità di limitare le impugnazioni e di abolire il divieto di reformatio in peius, ossia di aggravamento della pena in appello, ma sono soprattutto le sue idee complessive sul ruolo della magistratura e sulle garanzie degli imputati a spaventare. Non pago del celebre “non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”, intervenendo a una trasmissione televisiva alcuni mesi fa Davigo ha affermato che “le parti nel processo non sono uguali, perché il pm è costretto a dire la verità e il difensore dell’imputato il falso”. Sono queste le idee che potrebbero ispirare il processo del futuro.

Foto Ansa

Exit mobile version