Il Mes è un pasticcio. Il governo Meloni non deve farsi disgregare

Rassegna ragionata dal web sulle difficoltà della maggioranza per l'approvazione del Mes: bisogna combinare il rapporto fondamentale con la società con la costruzione di una soluzione concordata a livello dell’Unione

Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «Come ha spiegato una fonte al Sussidiario, il ministro, per sbloccare l’impasse, ha acconsentito in quella sede a mandare avanti l’iter di approvazione. Una mossa che nasconde una riserva: agli europei si fa vedere che il dossier procede, senza però dire che la volontà politica dell’approvazione non c’è. Da qui l’accelerazione in commissione Esteri, con la richiesta di un parere tecnico al Mef e i ragguagli venuti dagli uffici. Un esito scontato: non è un mistero per nessuno che l’alta burocrazia ministeriale è dalla parte di chi comanda a Bruxelles piuttosto che a Roma. Per Giorgetti è una partita rischiosa, perché il pericolo che la commissione si spacchi e si possa giungere a un primo via libera al Mes, esiste. Per fortuna del ministro dell’Economia e dei suoi colleghi contrari al Mes, l’eventuale parere tecnico positivo della commissione Esteri sarebbe ribaltato dal voto dell’Aula. C’è il precedente della mozione adottata a maggioranza dalla Camera il 30 novembre scorso, con la quale il Parlamento impegnava il Governo a non approvare il ddl di ratifica del trattato. La discussione è calendarizzata in Parlamento per venerdì 30 giugno».

Il Sussidiario spiega i retroscena del documento “tecnico” del Mef sul Mes che ha allarmato Palazzo Chigi. Al di là degli argomenti ragionevoli di questa spiegazione, resta il problema del quadro politico che ha determinato questa intricata situazione e della difficoltà che il centrodestra ha a gestirlo

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Su Strisciarossa Marcella Ciarnelli scrive: «I meccanismi parlamentari consentiranno di rimediare a quanto è accaduto. Resta il fatto che Giorgetti attraverso quel documento ha sconfessato la premier. Che deve essersi agitata molto nel suo studio di Palazzo Chigi verificando di persona che criticare dall’opposizione è esercizio retorico. Governare è tutta un’altra cosa. Specialmente con alleati che scalpitano e sono insofferenti alla continua replica del protagonismo della presidente. Che pure in Parlamento ci sta da venticinque anni ma sembra aver dimenticato che tra quegli scranni a lei così familiari si consumano le peggiori vendette. E che non si può procedere con annunci e marcie indietro, ultima quella sulla commercializzazione e la vendita della cannabis light, per una possibile incompatibilità con la riforma del fisco».

Un paio d’incidenti, una serie di dispetti in una regione così strategica per il centrodestra come la Lombardia, i pasticci sul Mes: la Ciarnelli non sbaglia a segnalare le crescenti difficoltà nella maggioranza del governo Meloni.

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Su Huffington Post Italia Alberto Gentili scrive: «Mai si era visto l’Aventino del governo e della maggioranza. Tutti incredibilmente fuori, su ordine di Giorgia Meloni, dalla commissione Affari esteri della Camera chiamata a votare la ratifica della riforma del Mes, il Fondo salva-Stati. In una grottesca rappresentazione tardo sovranista,il centrodestra è letteralmente fuggito. Si è nascosto perché non poteva dire né sì, né no al Mes. Tant’è, che il disegno di legge di ratifica del trattato è passato con il solo voto favorevole di Pd, Azione, Italia viva».

Il sarcasmo di Gentili verso il centrodestra è ben giustificato. Però non aiuta a cogliere la complessità della situazione anche perché parte da un assunto sbagliato, cioè che la gran parte dell’opinione pubblica sia del tutto indifferente alla questione “Mes”. In realtà sia il trattamento che Unione europea e Germania hanno riservato alla Grecia sia i disastri combinati dal governo Monti imposto da Germania e Unione europea, sono ben presenti a una società italiana che si insospettisce appena sente l’odore di un’austerità “imponibile”, così evidentemente legata alla questione Mes. La difficoltà di Giorgia Meloni nasce dal problema di combinare il rapporto fondamentale con la società con la costruzione di una soluzione concordata a livello dell’Unione. Questione non semplice da affrontare. Ma la sinistra flirtando con l’austerità made in Germany si trova in una posizione ancora più scomoda come comprendono bene i cinquestelle che non avranno “cervello” (come credo) ma hanno però una “pancia” sempre sintonizzata con ampi settori del popolo italiano.

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Su Dagospia da un articolo di Emanuele Lauria su Repubblica: «Spunta a sorpresa, in uno dei palchi principali dell’aula di Palazzo Madama. È una delle immagini-chiave del pomeriggio in cui il Senato commemora Silvio Berlusconi, è quella di Gianni Letta che, con le mani giunte, in piedi, ricambia l’applauso dei presenti. Il presidente Ignazio La Russa lo ha appena citato, indicandolo come il rappresentante della famiglia del Cavaliere: segnatamente “dei figli, del fratello Paolo, di Marta Fascina“».

È certamente una mossa azzeccata quella di affidarsi a  una personalità saggia ed esperta come Gianni Letta per aiutare la gestione post Silvio Berlusconi di Forza Italia. Però da sola questa mossa non può risolvere i problemi che la maggioranza del governo Meloni ha di fronte a sé. Al di là del fatto che l’esecutivo abbia da registrare il suo funzionamento in diversi casi non soddisfacente, restano le altre questioni incombenti. La disgregazione della democrazia italiana è consistente, il tentativo di subordinare l’Italia a un comando verticistico dell’Unione europea è costante. Palazzo Chigi ha posto alcune basi sociali e internazionali per invertire una tendenza per certi versi trentennale, ma senza costruire una vera formazione popolar-conservatrice, senza riformare lo Stato italiano, senza costruire un’alleanza europea vasta per dare basi seriamente democratiche all’Unione, la disgregazione interna e ispirata dall’estero prevarrà. Il problema non è quindi solo semplicemente governare, ma accompagnare questo impegno con un’articolata azione riformatrice, difficile senza un “cervello” che la pensi.

Foto Ansa

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