Il drago di Repubblica che lancia anatemi infuocati ai «negazionisti» del clima

Mai contraddire Rampini sul global warming. Chi discute le tesi sacralizzate dall’Onu è un «cialtrone» e non deve potersi esprimere in tv, dice il maestro del giornalismo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La grandissima parte degli scienziati ritiene che il “global warming” (riscaldamento globale) sia una realtà indiscutibile. Secondo questa tesi sacralizzata dall’Onu, la temperatura si innalza nel pianeta con danni gravi e presto gravissimi, irrimediabili, a causa dei comportamenti umani, e in particolare l’emissione di Co2, anidride carbonica. In passato ho, pescando qua e là, e attingendo a un sapere istintivo, ridicolizzato questa neo-religione. Mia figlia, che è più seria di me, mi ha accusato di faciloneria e superficialità. Mi ha preso sul serio però. Io, dinanzi anche alle prese di posizioni molto nette del Papa, ho rinculato, se non altro per rispetto di mia figlia e di Bergoglio.

Dopo di che mi sono imbattuto in alcuni fatti. E mi sono reso conto che l’inquinamento da Co2 va limitato, certo, bisogna fare il possibile. Ma pericolo più grande e assai più prossimo è la prevalenza dei guru dell’“ipse dixit”, i quali spruzzano cianuro sui dissidenti, sono gli intellettuali-boia del politicamente corretto, che è peggio dei gas serra: costoro pretendono il dominio delle anime, delle menti, dei cuori, e della parola.

Sabato 10 giugno, su La7, Lilli Gruber ospita a Otto e mezzo la prima penna di Repubblica su qualunque tema che implichi economia, politica, filosofia, morte e resurrezione: Federico Rampini. Le proverbiali bretelle sono il sostituto moderno del mantello da mago. Scrive dall’America, non so più se da San Francisco o da New York, pardon, dopo essere stato a Pechino e chissà dove. E questo stesso fatto dimostra che la sa lunga, è uno dei sette saggi della leggenda. C’è anche Paola Tommasi, guru di niente, scrive per il Tempo e Libero, ha studiato e studia. Il tema sono gli accordi di Parigi sul clima. Obama vi ha aderito entusiasta, Trump annuncia che alla prima occasione (nel 2020) recederà. E la Tommasi ha il torto di dar ragione a quest’ultimo. Sostiene che «il global warming è una bufala», del resto la scienza è divisa e di certo il catastrofismo è un’ideologia nefasta. Oltretutto gli accordi di Parigi regalano miliardi a Cina e India e le autorizzano a inquinare più degli altri. Dunque di che sta parlando Rampini?

A questo punto è come se a Camogli (da lì parlava Rampini) si fosse svegliato il Drago Prezzemolino. Esplode e lancia fiamme dal naso: chi dice queste cose come minimo è un «cialtrone» e un «oscurantista», non dovrebbe potersi esprimere in tv, va messo al bando, come quelli che si oppongono alle vaccinazioni. Dichiara che più del 99 per cento degli scienziati concorda sul global warming, chi si oppone è mosso solo da ignoranza o da interessi economici occulti, anzi – fa capire – è probabilmente pagato dalla Exxon. Del resto Trump è «arrogante, ignorante, mascalzone». Dimentico qualche parolina ma il senso è questo. Aggiunge un’altra maledizione, che equivale ad anatema, contro la Tommasi: «Negazionista!». Qui l’opera di criminalizzazione è compiuta. Dare del negazionista significa – per suggestione semantica – spingere l’avversario nel cerchio infernale di chi nega la Shoah e perciò ne è coautore. C’è un salto disonesto di linguaggio. I negazionisti negano un fatto, non contestano come ad esempio il professor Franco Battaglia un’ipotesi scientifica.

Paola Tommasi è molto brava a non perdere la calma, a esporre con pacatezza le sue tesi, rammaricandosi dell’ira funesta del maestro di giornalismo. Chiedo a lei e a voi: di che stupirsi? Questo è il perfetto esempio di pulpito post-moderno, e di predica post-cristiana. L’unica certezza viene dalla scienza. Ma così facendo la nega. Se qualcosa la scienza insegna è che essa è falsificabile, le sue certezze avanzano sempre anzitutto come ipotesi. Esiste un 3 per cento di scienziati che ha tesi assolutamente diverse da quelle che meritarono all’americano Al Gore il Nobel della pace nel 2007. Questo 3 per cento ritiene che l’uomo sia parte della natura e perciò può devastarla o migliorarla, ma non è necessariamente un fattore decisivo dei mutamenti climatici. Al Gore sostenne, con alle spalle il consenso di Rampini e dei rampiniani, che entro 7 anni i ghiacci artici si sarebbero disciolti. Non è accaduto. Non pretendo che questa errata profezia imponga ad Al Gore la restituzione del Nobel, per carità. Resto spaventato da chi, in nome dell’assolutezza della “sua” scienza, esclude chi non concorda dal consesso degli umani e impone alla politica di conformarsi alle decisioni della élite culturale. Be’, io a questo punto mi iscrivo di diritto come cittadino di quel territorio selvaggio, marcato nelle carte geografiche romane così: “Hic sunt leones”. Almeno in quanto leoni si spera che i capi del nichilismo animalista ed ecologista tollereranno la nostra esistenza. Ma non credo.

Foto da Shutterstock

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