Il dolore per la non unità dei cattolici in politica. Lettera (e risposta di un rompicoglioni)

Ci scrive uno degli organizzatori del confronto con quattro candidati di diversi partiti. Giussani, la Dc, la nostalgia. Scambio di opinioni



Caro direttore, l’intervento di Antonio Simone, è stata l’occasione per un ulteriore approfondimento circa il senso dell’incontro con quattro candidati alle regionali, «tutti affezionati partecipanti alla vita di Comunione e Liberazione», che ho contribuito ad organizzare.
Espongo il mio pensiero per punti sintetici:
1. Nello scenario di oggi, ritengo che alimentare la tensione all’unità dei cattolici in politica sia più interessante che rimpiangerla. Per questo abbiamo proposto a quattro candidati in diversi partiti un incontro tutti insieme (in origine a due candidati, cui si sono poi aggiunti gli altri, che nostri e loro amici hanno proposto di invitare). Rischiamo sul fatto che «siccome è più forte la nostra fede, anche se la pensiamo diversamente siamo protesi a imparare l’uno dall’altro, a cercare di capire senza ostilità». Così fosse, sarebbe un «esempio confortante».
2. Don Giussani parla di necessità dell’unità dei cattolici in politica, espressa anche come direzione del voto, più di 30 anni fa, vivo un contenitore politico, la Democrazia cristiana: «che almeno teoricamente vuole essere fedele alla tradizione cristiana». Il mondo della Dc però oggi non c’è più e ne è rimasto il simbolo – non da solo – nello stemma di Noi per l’Italia. D’altra parte, in un contesto mutato, lo stesso don Giussani (intervista del gennaio 1996), afferma che l’unità dei cattolici si realizza «in funzione della Chiesa, e non di un partito politico o di uno schieramento».
3. Se tra qualche decina di candidati ne abbiamo invitati quattro, proprio quei quattro, è perché pensiamo che siano le risposte e non le domande a generare l’unità a cui tendiamo.
4. Per quanto riguarda il richiamo all’obbedienza, il nostro tentativo, senz’altro perfettibile «di fronte alla tentazione molto diffusa dell’astensionismo e del disinteresse» è stato quello di sollecitare i nostri amici «alla presenza e alla  partecipazione attiva e responsabile a questi appuntamenti elettorali: anzitutto attraverso l’espressione consapevole del proprio voto», come indicato dalla Conferenza Episcopale Lombarda.
Ringrazio Antonio Simone e Tempi, augurandomi che il dialogo prosegua.
Luca Ponzoni
Caro Luca, parto dal punto 4 e risalgo. Se l’intento dell’incontro era quello di generare interesse intorno al voto, invitare la gente a capire e confrontarsi con quei quattro candidati, mi pare un intento nobile e giusto e non dubito, anche da come ti esprimi in questa tua lettera, che abbiate organizzato il confronto con questo scopo.
Se, poi, sempre da quel che scrivi, anche voi – come me, come Simone – “tendete all’unità” , non posso che compiacermene.
Che la Dc ci sia ancora o meno, mi pare una questione importante, ma satellitare rispetto alla preoccupazione espressa da Simone. Ormai non c’è più da cinque lustri e pur tuttavia il problema dell’unità dei cattolici rimane. Non un dogma, ma un problema vero e reale, concreto, anche per il rischio dell’irrilevanza, come ha detto bene il cardinale Ruini.
E veniamo al punto 1, che mi pare il più interessante e su cui, credo, è meglio chiarirsi un attimo (ne ho scritto anche nella rubrica delle lettere sul numero di febbraio di Tempi, facendo nomi e cognomi dei vari candidati e dicendo, in buona sostanza, «che è meglio essere uniti e avere opinioni diverse, che essere divisi ed essere tutti d’accordo»). Il punto che mi pare richiamare Simone, infatti, non è nostalgico, ma – anzi! – tutto il suo contrario. Per me – e per Simone – la questione non è discutere se, ai tempi della Dc era meglio o peggio. Per me c’è anche una questione anagrafica: quando ho votato per la prima volta, lo scudocrociato manco c’era più sulla scheda. Ma, appunto, insisto, non credo che a qualcuno interessi “tornare indietro” o rimpiangere il passato. Quel che ci interessa – e che chiediamo con un po’ di impertinenza ai candidati – è questo: cari amici impegnati in politica (a destra o a sinistra, con la Dc o fuori dalla Dc) come mai, visto che dite di essere uniti da un ideale cristiano certamente più importante delle vostre opinioni, poi non riuscite a superare le vostre opinioni e a tradurre quell’unità ideale in un’unità anche politica? Il fatto che siete in partiti diversi, è già una risposta. E aggiungo ancora una cosa, dato che, oltre che impertinente, sono pure rompicoglioni: va bene, cari amici impegnati in politica, ora siete divisi ed è andata così, ma come mai non provate un po’ di dolore perché “è andata così”? Dico dolore e non nostalgia, perché la seconda è un sentimento passeggero, il primo è un giudizio su un dato di fatto, qualcosa riconosciuto come bene che, però, non c’è. E se non c’è, è peggio per chi si impegna in politica ma anche per chi li vota, perché è anche dalla loro unità che li riconosceranno e ci riconosceranno. È una questione che va ricordata a quei quattro come a tutti gli altri. Caro Luca, io e Simone lo facciamo in privato e pubblicamente. Se lo fai anche tu, siamo già in tre (quasi un partito, eh).
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