Il diritto alla disconnessione è «fondamentale» per chi lavora in smart working

Ecco perché il Parlamento europeo sollecita la Commissione a elaborare una normativa che impedisca al "lavoro agile" di invadere completamente la vita privata

Pubblichiamo di seguito una analisi del Centro studi Livatino in merito alla risoluzione approvata dal Parlamento europeo per sollecitare la Commissione a elaborare una normativa in materia di smart working.

* * *

1. Smart working significa essere raggiungibile h 24? Parrebbe di no, stando alla Risoluzione recante la data del 21 gennaio 2021, che il Parlamento europeo ha approvato e che contiene raccomandazioni alla Commissione Ue sul diritto alla disconnessione del lavoratore in smart working, formalizzate in una proposta di Direttiva[1].

Di che si tratta? del diritto del lavoratore a non essere reperibile telematicamente al di fuori dell’orario di lavoro, al fine di recuperare quel confine tra tempo di lavoro e non, che in epoca di Covid-19, con l’aumento dello smart working nella sua modalità “emergenziale”, si è perduto troppo di frequente[2].

Per definire una posizione unica in tutti gli Stati dell’Unione il Parlamento europeo è partito da un’analisi della legislazione comunitaria e ha considerato le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue). Ai sensi della Direttiva 2003/88/Ce, i lavoratori dell’Unione hanno diritto a requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’organizzazione dell’orario di lavoro. In tale contesto, questa direttiva prevede il riposo giornaliero; le pause di riposo; il riposo settimanale; la durata massima del lavoro settimanale e le ferie annuali. E disciplina inoltre alcuni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni, e dei modelli di lavoro.

2. Tali profili sono tutti regolati in Italia dal D.Lgs. n. 66 dell’8/4/2003, adottato in recepimento delle Direttive Ue[3] e in attuazione dei princìpi previsti dalla Costituzione agli art. 36, quanto alla durata massima della giornata lavorativa, al diritto al riposo settimanale e alla irrinunciabilità delle ferie annuali retribuite, e 37 co. 1, che invece  tratta delle condizioni di lavoro della donna che devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. Essi trovano applicazione per qualunque rapporto di lavoro subordinato, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, pur se svolto in modalità “a distanza”, ossia al di fuori dei locali resi disponibili dal datore di lavoro e con l’ausilio di strumentazione tecnologica.

L’Ue muove dalla considerazione che è vero che «la digitalizzazione e l’utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori, come una flessibilità e un’autonomia maggiori, la possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata e la riduzione dei tempi di spostamento»; e tuttavia, l’uso di strumenti digitali per scopi lavorativi, comprese le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (Tic), può avere effetti negativi, causando «anche degli svantaggi comportanti sfide etiche, legali e connesse all’occupazione, quali l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata». Con la conseguenza che «un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del “sempre connesso”, “sempre online” o “costantemente di guardia” che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque», mentre «la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e sulle condizioni di lavoro».

Uno degli strumenti individuati per far fronte a tale pericolo è appunto il “diritto alla disconnessione”.

3. L’esigenza di tutela appena sintetizzata è emersa dalle prime sperimentazioni concrete di smart working avviate dalla contrattazione collettiva italiana, che diversamente da quella francese o tedesca[4], non ha però mostrato tentativi di regolamentazione ante legem, se non in forma di mere enunciazioni per lo più a ridosso dell’approvazione della legge n. 81 del 22 maggio 2017[5]. È nella disciplina normativa del lavoro agile che la disconnessione diviene un istituto regolamentato, trovando dimora all’art. 19 co. 1: esso dispone che l’accordo sullo smart working debba contenere, oltre ai tempi di riposo del lavoratore, anche «le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».

In tal modo il Legislatore ha deciso di non qualificare espressamente la disconnessione come diritto, la cui enunciazione all’interno di un testo normativo determina come noto il chiaro insorgere di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio, un “attributo” ascritto a un soggetto, o a una classe di soggetti, che si sostanzia in obblighi, poteri, doveri e quindi alla possibilità di rivolgersi a un organo giurisdizionale per ottenere la tutela in caso di violazione. Né allo stato attuale si sono ancora diffusi, all’interno della contrattazione collettiva, compiuti modelli di regolamentazione del diritto alla disconnessione[6].

4. Una ricezione efficace delle indicazioni contenute nella Direttiva Ue a livello legislativo e/o contrattuale dovrà rimettere al centro il senso stesso dello smart working. Pur se con forme e qualificazioni differenti adottate nelle diverse legislazioni nazionali (flexible working, agile working, activity based working, etc.), l’istituto trae origine e si è progressivamente sviluppato nel perseguimento del cosiddetto work–life balance, ossia di un equilibrato bilanciamento tra tempo di lavoro e tempo fruibile dalla persona al di fuori dell’impegno assunto verso il datore di lavoro: dunque, per il miglioramento qualitativo della modalità di utilizzo di un bene – il tempo – che è sempre prezioso per tutti, sia in ambito lavorativo che nelle diverse dimensioni e relazioni in cui si esprime la persona (famigliare, amicale, ricreativa, volontariato, etc.).

Peraltro il cosiddetto “smart working emergenziale”, di rapida e generalizzata applicazione in concomitanza con la crisi epidemiologica ed economica causata dal virus Covid-19 dal marzo 2020, è solo un parente prossimo dell’istituto configurato nella prospettiva sopra richiamata, essendo profondamente diverso per finalità, fonte regolatrice dei reciproci impegni e modalità di attuazione: la possibilità di accordo fra le parti del contratto di lavoro per regolare autonomamente il bilanciamento tra esigenze lavorative e non, nell’ambito della relazione che fra loro intercorre, è divenuto un obbligo legale per entrambi, se applicabile in relazione alla tipologia di attività, al fine di evitare la vicinanza tra le persone.

5. È consapevolezza diffusa che l’esperienza emergenziale lascerà in eredità al post emergenza almeno due cose: un utilizzo del lavoro a distanza di gran lunga superiore rispetto a prima, e la necessità di un adeguamento dei criteri che lo regolano che faccia tesoro di quanto emerso col suo massiccio utilizzo. Nella riconfigurazione normativa e/o contrattuale della organizzazione e della gestione del lavoro a distanza – comunque denominato – in coerenza con i princìpi costituzionali e con la normativa nazionale in materia di orario di lavoro sopra richiamati, dovranno pertanto essere recepite in modo efficace le indicazioni contenute nella recente Direttiva Ue.

Essa, mentre rileva che «un utilizzo adeguato degli strumenti digitali può costituire un valore aggiunto per i datori di lavoro e per i lavoratori in quanto consente una libertà, indipendenza e flessibilità maggiori per organizzare meglio l’orario di lavoro e le mansioni lavorative, ridurre il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro e facilitare la gestione degli obblighi personali e famigliari, creando in tal modo un equilibrio migliore tra vita privata e vita professionale», osserva che «le necessità dei lavoratori variano considerevolmente e sottolinea a tale proposito l’importanza di sviluppare un quadro chiaro che promuova la flessibilità personale e contemporaneamente la protezione dei diritti dei lavoratori».

In tale contesto il diritto alla disconnessione è, secondo l’Ue, «un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale (…) particolarmente importante per i lavoratori più vulnerabili e per quelli con responsabilità di assistenza». Un’organizzazione del lavoro a distanza con modalità non penalizzanti per la persona genera effetti positivi in tutti gli ambiti in cui la persona si esprime, sia fuori che all’interno della sfera lavorativa, quindi anche per il contesto in cui la prestazione si svolge e per il datore di lavoro.

6. La medesima Direttiva Ue afferma infatti che «un insieme di prove in costante aumento mette in evidenza che tra gli effetti di una delimitazione dell’orario di lavoro, dell’equilibrio tra vita professionale e vita privata, di una certa flessibilità nell’organizzazione del tempo lavorativo, nonché di misure attive volte a migliorare il benessere sul lavoro, figurano conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori, un miglioramento della sicurezza sul lavoro e un aumento della produttività della manodopera grazie alla diminuzione di stanchezza e stress, livelli più elevati di soddisfazione e motivazione sul lavoro e tassi più bassi di assenteismo».

Legislatore, parti sociali, datori di lavoro e lavoratori sono chiamati ad assumere con responsabilità l’onere di declinare tali criteri, ciascuno nell’ambito che gli è proprio. Spesso le situazioni di emergenza, non programmabili, impongono un temporaneo riposizionamento della gerarchia dei beni da tutelare e dell’agenda delle priorità, e ciò talvolta giustifica talune forzature. In una prospettiva di ri-costruzione del mondo del lavoro, profondamente segnato dalla pandemia, è bene cominciare a guardare, oltre che all’oggi, a persone, lavoro e imprese del dopo emergenza, in cui si tragga il massimo beneficio dalle opportunità offerte dalla digitalizzazione: ossia utilizzandola al servizio dei valori primari che caratterizzano una buona relazione professionale.

* * *

[1] Risoluzione del Parlamento europeo del 21/1/2021 recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione (2019/2181(Inl)).

[2] La Legge 81/2017 ha introdotto nell’ordinamento italiano il lavoro agile (comunemente definito come smart working), una specifica modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, da svolgersi «in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa», «senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici» ed «entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva» (art. 18). Si tratta di un nuovo approccio all’organizzazione del lavoro, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera (potremmo dire) complementare, con quelle dell’impresa.

[3] La Direttiva 2003/88/Ce del 4/11/2003 citata è la «codificazione» (cfr. punto 1 delle considerazioni preliminari) della Direttiva 93/104/Ce del 23/11/1993, modificata dalla Direttiva 2000/34/Ce, recepite in Italia con il D. Lgs. n. 66/2003.

[4] Gli accordi collettivi tedeschi e francesi hanno previsto delle prime specifiche forme di tutela della disconnessione, secondo quanto emerge dagli accordi contenuti nel cosiddetto Rapporto Mettling, Tran-sformation numérique et vie au travail, commissionato dal Governo francese in vista della riforma del lavoro che porterà all’introduzione del diritto, e disponibile all’indirizzo www.ladocumentationfrancaise.it. In dottrina si rinvia a V. Pontif, «Transformation numérique et vie au travail»: les pistes du rapport Mettling, in RDT, 2016, 3, 185-187; M. Weiss, Digitalizzazione: sfide e prospettive per il diritto del lavoro, in Dri, 2016, 3, 657-60; L. Mella Mendez, op. cit., 2016, 30 ss.; A. Fenoglio, op. cit., 549-553.

[5] Il riferimento è ad es. all’accordo aziendale di Deloitte Consulting del 27 aprile 2017, per la cui analisi si veda R. Zucaro, La conciliazione vita-lavoro nei settori del commercio, del turismo e dei servizi. Politiche di sostegno alla cura e misure di flessibilità oraria e organizzativa, Laboratorio Terziario, Speciale XIX Congresso, 2017, 74 ss.

[6] Il recentissimo Accordo siglato il 24/2/2021 tra Ania e le Oo.Ss. recante Linee guida per il Lavoro Agile nel settore assicurativo e di assicurazione/assistenza fissa alcuni principi su «orario di lavoro e diritto alla disconnessione» (art.4), demandandone l’attuazione a livello aziendale. In epoca pre Covid-19, andava in tale direzione l’Accordo sulle nuove misure per la promozione della conciliazione fra vita professionale e vita privata dei dipendenti del Gruppo UniCredit del perimetro Italia sottoscritto tra UniCredit e le Oo.Ss. il 13/4/2018, che dedica una previsione specifica alla «tutela dei tempi di disconnessione» (art.16). Una recente ed efficace ricognizione sia della contrattazione collettiva nazionale che di alcuni accordi di particolare rilevanza, sia aziendali che nelle pubbliche amministrazioni, in materia di smart working, è disponibile nel volume di Adapt Associazione per gli studi sul lavoro, Guida pratica al lavoro agile 2, Adapt University Press, 2020, con contributi di E. Dagnino, M. Menegotto, L. M. Pelusi, M. Tiraboschi.

Foto di Tyler Franta per Unsplash

Exit mobile version