Il “consumismo” dei vescovi fiamminghi che benedicono le coppie gay

La parte più amaramente esilarante del comunicato con cui i vescovi fiamminghi annunciano l’istituzione di una liturgia per la benedizione di coppie dello stesso sesso è là dove si dice che il nuovo rito non va confuso con la celebrazione delle nozze, in quanto «resta chiara la differenza con ciò che la Chiesa intende per matrimonio sacramentale».

Come ha ben detto la Congregazione per la Dottrina della fede nel febbraio dell’anno scorso, «poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale».

Diritti lgbtq

In realtà non serviva la profondità teologica e l’acume giuridico dei periti dell’ex Sant’Uffizio per mettere a fuoco quello che tutti vedono e capiscono da tempo: è in corso un processo che ha per obiettivo la parificazione giuridica, etica, antropologica fra coppie dello stesso sesso e coppie dei due sessi; è un processo che va dall’approvazione di leggi che istituiscono il matrimonio omosessuale e la possibilità per le coppie gay e lesbo di adottare figli o di averne con l’utero in affitto, alla legittimazione di tali unioni da parte delle Chiese cristiane attraverso benedizioni e celebrazioni matrimoniali, dall’introduzione di ordinamenti che puniscono penalmente chi critica la completa parificazione degli orientamenti sessuali, alla costante propaganda per i “diritti civili” Lgbtq attraverso i prodotti dell’industria culturale (film, spettacoli televisivi, musica popolare).

Peccati, reati, misericordia

Tutto questo non ha a che fare coi “diritti civili” o col rispetto verso le persone con tendenze omosessuali (a cui fanno strumentalmente riferimento i vescovi fiamminghi citando un paragrafo di Amoris Laetitia). In materia di sesso, il riconoscimento dei diritti civili comporta che lo Stato non interferisca col modo in cui i singoli fanno i conti con le proprie pulsioni: sono ingiuste tutte le leggi che puniscono comportamenti personali di natura affettiva, quando questi riguardano maggiorenni consenzienti e non ledono diritti di altri. Di essi si risponde a Dio, alla propria coscienza, alle persone che ci sono care.

Non tutti i peccati sono reati, e la misericordia è l’ultima parola sulla drammatica condizione umana perché, come scrive san Tommaso d’Aquino, nessun essere umano senza la Grazia può restare a lungo senza commettere peccati mortali. Ma questo non significa che la volontà umana possa trasformare la natura di un atto o di una condizione.

Se non importuno i vicini, posso miagolare tutta la notte sul tetto di casa mia perché mi identifico con un gatto; ma non posso pretendere di essere trattato come ciò che non sono, non posso pretendere che familiari e vicini mi garantiscano le crocchette e una lettiera: è un diritto che non ho.

L’abolizione della famiglia

Le cose interessanti da analizzare sono due. La prima è perché la cultura dominante ci tenga tanto a moltiplicare le forme di famiglia riconosciute e promosse dalla legge; la seconda è perché una parte non secondaria di uomini di Chiesa che hanno responsabilità gerarchiche assecondino questo fenomeno.

C’è stato un momento nel corso della civiltà occidentale nel quale la famiglia come istituzione è stata messa radicalmente in discussione. L’abolizione della famiglia è stata indicata come una necessità politica da Marx ed Engels a metà dell’Ottocento e come una esigenza della rivoluzione sessuale da Wilhelm Reich negli anni Trenta, è stata praticata nelle comuni hippie degli anni Sessanta e portata avanti come rivendicazione politica nei moti del Sessantotto.

Diceva Pasolini

Fuori dal mondo cattolico e religioso in genere, la famiglia torna paradossalmente di moda a livello sociale in coincidenza con l’assunzione delle rivendicazioni del movimento Lgbt da parte della cultura dominante. Non si propone più l’abolizione della famiglia, ma il pluralismo delle forme familiari. Più forme di famiglia ci sono, meglio è. Questa svolta indica bene come le velleità rivoluzionarie dei marxisti e della nuova sinistra degli anni Sessanta siano state riassorbite dal sistema capitalista, cioè dalla logica del profitto.

Lo aveva già capito, quasi cinquant’anni fa, Pier Paolo Pasolini, che scriveva: «La Famiglia è tornata a diventare quel potente e insostituibile centro infinitesimale di tutto che era prima. Perché? Perché la civiltà dei consumi ha bisogno della famiglia. Un singolo può non essere il consumatore che il produttore vuole. Cioè può essere un consumatore saltuario, imprevedibile, libero nelle scelte, sordo, capace magari del rifiuto: della rinuncia a quell’edonismo che è diventato la nuova religione. (…) È in seno alla famiglia che l’uomo diventa veramente consumatore: prima per le esigenze sociali della coppia, poi per le esigenze sociali della famiglia vera e propria. Dunque, la Famiglia (riscriviamola con la maiuscola) che per tanti secoli e millenni era stato lo “specimen” minimo, insieme, della economia contadina e della civiltà religiosa, ora è diventata lo “specimen” minimo della civiltà consumista di massa» (P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti 2022, p. 36 – prima edizione 1975).

Aumentare il fatturato

La prova materiale di quanto sia giusto il giudizio dell’intellettuale di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita è il compatto schieramento della grande industria, soprattutto quella dei servizi, a favore delle rivendicazioni politiche Lgbtq. Esse fanno parte quasi sempre dei programmi politici dei partiti cosiddetti di sinistra (e mai l’aggettivo “cosiddetto” fu più appropriato), ma il massimo della loro rilevanza pubblica lo si riscontra nelle politiche aziendali e nel martellamento delle inserzioni pubblicitarie delle multinazionali americane, seguite a ruota dalle grandi industrie nazionali degli altri paesi occidentali.

Perché il mondo del profitto sia più accanito nel suo fiancheggiamento delle rivendicazioni Lgbtq di quanto lo sia il mondo politico lo si capisce facilmente: si tratta di vendere di più, di fatturare di più, di far consumare di più, e questo si ottiene non incoraggiando l’individualismo, ma la molteplicità dei connubi umani. Che dovranno essere non solo molteplici ma mutevoli: più le relazioni affettive cambiano nel corso della vita, più i consumi sono stimolati, più i profitti aumentano.

Tutto ciò che rende più rapidi e più ampi i processi è benvenuto, perché si traduce in aumento dei fatturati: bene la convivenza senza le lungaggini del matrimonio, bene il divorzio veloce quando c’è vincolo matrimoniale, bene i poliamori che riuniscono più persone sessualmente relazionate fra loro, bene la fecondazione assistita e l’utero in affitto, che aggirano il problema della sterilità delle coppie dello stesso sesso, bene la fluidità sessuale, che fa sì che la stessa persona consumi per due, cioè sia come uomo che come donna.

Compromessi al ribasso

Perché uomini di Chiesa incoraggiano tutto questo? Per lo stesso motivo per cui varie volte la Chiesa ha fatto la cosa sbagliata nel corso della storia. Il motivo per cui ha smesso di opporsi seriamente al prestito a interesse, per cui si è di fatto alleata alla borghesia dopo essere stata alleata del trono, per cui si sono usate le sentenze della Sacra Rota di nullità matrimoniale come ipocrita alternativa al divorzio, ecc: cercare il compromesso con un potere in ascesa che sottraeva prestigio alla Chiesa per non perdere quel che restava del proprio potere.

Non staremo a distillare se si trattava di compromessi in buona fede, mirati ad evitare mali peggiori, o motivati da miseri interessi umani di ceto sociale. Non giudicheremo la buona fede o la malafede dei vescovi fiamminghi. Basti considerare che quel genere di compromessi non potrà mai più avere qualche lato positivo, perché la cultura dominante è supremamente irreligiosa e ha permeato di irreligiosità le masse.

Civiltà consumista

La Chiesa di Pio XI poteva rischiare di firmare un Concordato col governo Mussolini, perché sapeva che il popolo italiano degli anni Venti era impermeabile ai valori nietzschiani del fascismo, che il consenso al regime era puramente pragmatico, basato su convenienze materiali. Ma oggi i vescovi cattolici del Belgio, dell’Italia e di qualsiasi altro paese occidentale dovrebbero ben sapere che attraverso il consumismo e la tecnologizzazione della vita umana Dio è veramente morto e l’uomo ha preso il suo posto nei cuori e nelle menti dei loro popoli, spesso senza che i singoli ne abbiano coscienza: credono di essere ancora cristiani quando in realtà la loro concreta esistenza dice qualcosa di molto diverso.

La civiltà materialista consumista conosce solo due divinità, lo Stato e il mercato, e della religione storica vuole solo conservare gli aspetti rituali che possono essere vissuti come folklore: la cerimonia fra le mura di un’antica chiesa di fronte a un sacerdote coi suoi paramenti liturgici è esteticamente molto più appagante di un rito civile davanti a un signore in borghese bardato con un’imbarazzante fascia tricolore di traverso al torace.

Foto Ansa

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