Marino e Roma sono a un bivio: morire con i debiti delle municipalizzate oppure aprire ai privati

Debiti in continua crescita, personale in eccesso e disorganizzazione fanno sprofondare Acea, Ama e Atac. Intervista a Paolo Togni, ex capo dipartimento all'Ambiente della capitale

Il Comune di Roma non è la Sicilia, anche se poco ci manca. E con i suoi 70 mila dipendenti pubblici, molti dei quali provenienti dalle tre società partecipate (Ama, Acea, Atac), rappresenta un significativo spaccato d’Italia e dello spreco di risorse della pubblica amministrazione che va avanti da decenni. Ecco perché il buco di bilancio di oltre 800 milioni di euro che il sindaco Ignazio Marino si trova sul groppone non sorprende più di tanto Paolo Togni, ex capo di gabinetto al ministero dell’Ambiente ed ex capo dipartimento all’Ambiente del Campidoglio, profondo conoscitore delle logiche e delle istituzioni romane. Per  Togni Roma è davanti a una svolta obbligata: liberalizzare i servizi pubblici e aprire ai privati.

Togni, qual è l’origine del debito a Roma?
Quella del debito è una questione annosa, perché il Comune di Roma è sempre stato indebitato in maniera spropositata, un po’ perché male amministrato e un po’ perché Roma svolge funzioni che non sono compatibili con il finanziamento così come costruito per un qualsiasi altro Comune d’Italia. Mi riferisco, per esempio, agli impegni pubblici e di rappresentanza o alle ambasciate. Poi però le cose sono precipitate a partire dalle giunte Rutelli e Veltroni; ora Marino si trova questa pesante eredità tra le mani, ma è più di otto mesi che è sindaco e non ha ancora mosso un dito per provare a cambiare le cose.

Quanto pesa il dissesto delle società partecipate sul buco di bilancio?
Pesa eccome, anche se occorre fare qualche distinzione. Cominciamo dall’Ama, l’Azienda municipale ambiente, che si occupa della gestione dei rifiuti. Quando arrivò Alemanno la nettezza urbana aveva 900 milioni di euro di debiti e non è che si sono potuti azzerare da un giorno all’altro, anche perché erano scoperti in banca. Sono stati alleggeriti e ora c’è un piano di rientro che procede, ma il debito rimane e cresce giorno per giorno. Del resto, non si può pensare di andare avanti con un’evasione delle tariffe sicuramente non inferiore al 40, se non addirittura al 60 per cento. Pensi che a volte nemmeno gli enti pubblici le pagano, come per esempio in passato la Fao.

E per quanto riguarda Acea e Atac?
Acea, l’Azienda comunale elettricità e acque, è a lungo stata fonte di guadagni notevolissimi per il Comune, perché l’acqua a Roma è sempre stata disponibile in grande quantità, molto più che a Milano. E per molti anni, con i suoi dividendi, l’Acea ha salvato il bilancio comunale. Ora però è una società che a mala pena sopravvive per come è stata amministrata, quasi fosse un nido di affari privati e malversazioni, e dopo essere uscita con le ossa rotte da alcune operazioni finanziarie. Per Atac, l’Azienda Tramvie ed Autobus del Comune di Roma, invece, la situazione è molto più complessa perché è in una posizione debitoria talmente difficile da recuperare che nessuno se la comprerà mai. Anche se il trasporto pubblico è così più o meno dappertutto. A Roma forse la situazione è un po’ più grave perché l’85-90 per cento dei viaggiatori non è abituato a pagare il biglietto.

Cosa si può fare per cambiare le cose?
Nel caso delle municipalizzate, dove c’è debito storico, eccesso di personale e disorganizzazione bisognerebbe aprire ai privati. Prendiamo il caso di Acea: è ora di smetterla di portare rifiuti nelle discariche, bisogna invece trovare un privato intenzionato a costruire un inceneritore cui affidare il servizio. Qualcuno in grado di ristrutturare l’azienda, snellire il personale se necessario, e sviluppare tecnologie più all’avanguardia e razionali. Così, anche le municipalizzate non solo cesserebbero di fare debiti ma diventerebbero fonte di reddito come sono in tutto il mondo.

Non c’è il rischio, però, che in Italia tra un Salva-Roma e un Salva-Napoli, si rimandi sempre più in là la soluzione dei problemi?
Io sono d’accordo che vengano dati “x” milioni di euro ai Comuni in crisi, a patto però che anche loro si prendano degli impegni per risolvere tutti i problemi finora descritti, analogamente a come farebbe qualsiasi cittadino che va in banca a chiedere un prestito da 5 mila euro. Con il vantaggio, oltretutto, che a loro lo Stato non chiederà mai i soldi indietro.

@rigaz1

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