Il cardinal Pell verso l’appello. Le «stranezze» del processo non sono finite

A tre settimane dal secondo grado di giudizio per il cardinale accusato di pedofilia, George Weigel solleva altre domande sulla campagna mediatico-giudiziaria contro di lui

Fra tre settimane inizierà il processo di appello per il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sydney e prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia (ovvero ex “numero tre del Vaticano”, come lo chiamavano i giornali), condannato clamorosamente nel dicembre scorso a sei anni e mezzo di carcere per abusi sessuali su minori e attualmente in prigione a Melbourne.

A ricordare l’imminenza dell’evento è George Weigel in un articolo apparso nel sito della rivista americana First Things. Weigel è Distinguished Senior Fellow presso l’Ethics and Public Policy Center di Washington, dove è titolare della cattedra William E. Simon in Studi cattolici, e non è la prima volta che interviene pubblicamente in difesa dell’amico e cardinale australiano. Biografo di san Giovanni Paolo II e autorevole intellettuale conservatore americano, Weigel ha scritto anche un lungo articolo per Tempi in cui mette in fila una lunga serie di fatti e altri elementi che rivelano, a suo dire, la vera natura della vicenda giudiziaria di Pell: una pericolosa «farsa» motivata dall’odio ideologico.

RAGIONEVOLI DUBBI

Nel nuovo commento su First Things, Weigel rinnova l’auspicio che la sentenza di condanna emessa in primo grado nei confronti del cardinale sia rovesciata in appello, per il bene non solo della Chiesa cattolica e del condannato, ma anche dello stato di diritto in Australia. Infatti, si legge nell’articolo, quel verdetto «non si è nemmeno avvicinato al criterio della colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che è un fondamento del codice penale di tutte le società ordinate secondo giustizia».

Scrive Weigel:

«La procura non ha presentato alcuna prova a sostegno della denuncia dell’accusatore. La difesa ha demolito l’ipotesi di accusa, con testimoni che, uno dopo l’altro, hanno dimostrato che il presunto abuso semplicemente non avrebbe potuto avere luogo nelle circostanze ricostruite in aula – cioè dopo una Messa in un’affollata cattedrale, all’interno di un locale sorvegliato. Eppure la giuria, forse ignorando le indicazioni del giudice del processo riguardo a come dovrebbero essere costituite le prove, ha raggiunto all’unanimità un verdetto di colpevolezza. Pronunciando la sentenza nei confronti del cardinale, il giudice non ha detto neanche una volta di trovarsi d’accordo con la decisione dei giurati; ha detto invece, più volte, che stava soltanto facendo quello che la legge gli imponeva di fare».

UN PRECEDENTE ALQUANTO SIMILE

A queste critiche, non nuove, il politologo aggiunge inoltre alcune «oddities» (stranezze) emerse nelle ultime settimane. Stranezze che però, lamenta Weigel, sono state «indagate soltanto da piccoli giornali e osservatori indipendenti», mentre la grande stampa a quanto pare ha preferito non farsi troppe domande sul processo.

«Per esempio, com’è che la ricostruzione fatta dall’accusatore riguardo alla presunta aggressione sessuale subita a opera del cardinal Pell presenta un’impressionante somiglianza – per dirla con delicatezza – con un caso di abuso sessuale del clero descritto da Rolling Stone nel 2011?».

Per chi ha tempo e voglia di approfondire, il precedente sorprendentemente simile alle accuse presentate contro Pell è contenuto in questo articolo di Rolling Stone. È stata la rivista Quadrant a segnalare all’opinione pubblica la curiosa somiglianza, in una dettagliata analisi piena di altri fatti e osservazioni molto utili per comprendere il contesto (anticattolico) in cui è maturata questa campagna mediatico-giudiziaria.

UNA SOSPETTA FUGA DI NOTIZIE

Ma le domande di Weigel non sono finite:

«Com’è che la trascrizione di una conversazione telefonica avvenuta dopo la condanna tra il cardinale e il cerimoniere della cattedrale (il quale in tribunale aveva testimoniato l’assoluta impossibilità fisica che le accuse sul conto di Pell fossero vere) sia finita in mano (e da lì sul giornale) di un cronista storicamente ostile e polemico verso Pell?».

Questa volta il riferimento è a uno “scoop” di Lucie Morris-Marr del New Daily, il medesimo giornalista da cui partirono le prime indiscrezioni sulle indagini per pedofilia contro Pell. Morris-Marr ha utilizzato la conversazione intercettata per insinuare in qualche modo che il cardinale avesse la coscienza sporca, sortendo però l’effetto contrario di generare pesanti sospetti sulle ragioni di una “fuga di notizie” tutt’altro che ordinaria in Australia.

CHI LO VUOLE IN PRIGIONE?

Alla luce di tutto questo, le domande successive di Weigel sono inevitabili:

«Quale rete di relazioni esiste tra certi settori violentemente anti-Pell dei media australiani, la polizia dello Stato di Victoria e alcune personalità politiche australiane con antiche vertenze aperte nei confronti del politicamente scorretto George Pell? Che cosa lega la gang locale che vuole Pell in prigione e quanti avevano molto da perdere dal suo tentativo di ripulire le finanze del Vaticano?».

DETENUTO DA DUE MESI

Quanto al cardinale, infine, secondo i racconti ricevuti da Weigel, dopo due mesi di detenzione sarebbe in buone condizioni, nonostante i timori intorno al suo stato di salute. Pell avrebbe personalmente «incoraggiato e consolato» gli amici che sono potuti entrare in carcere per fargli visita, dimostrando una forza di spirito che Weigel attribuisce direttamente all’influenza dei lunghi e approfonditi studi del cardinale sul vescovo John Fisher, su Tommaso Moro e sui cattolici perseguitati nell’Inghilterra di Enrico VIII.

Foto Ansa

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