«I nostri figli sono nelle mani di Hamas. Preghiamo perché tornino a casa»

Intervista alle madri di Noa Argamani e Avinathan Or, i fidanzati rapiti dai terroristi al rave party. «Ci sostiene la fede»

L’abbraccio tra Dizza e Loira, le madri di Noa Argamani e Avinathan Or, i fidanzati rapiti dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023

Le immagini del video dei loro figli rapiti da Hamas al festival della musica e dei giovani, il rave alle porte di Gaza, hanno fatto il giro del mondo. Postate dai terroristi sui social con un beffardo emoticon sorridente.

Noa Argamani, la ragazza, viene portata via in moto, il suo fidanzato Avinathan Or trascinato, le mani legate, sotto la minaccia delle armi. Noa urla la sua disperazione, Or è impietrito. I due giovani sono ancora a Gaza, ostaggi di Hamas. Le loro madri raccontano la loro angoscia, mentre si abbracciano e hanno la forza di sorridersi, unite come mai dal dolore. Non hanno parole di odio. Mi parlano con gli occhi pieni di lacrime mentre mostrano le foto dei figli.

Dizza Or racconta orgogliosa di suo figlio: «Ha trent’anni, è un ingegnere elettronico, lavora per una grande compagnia hi-tech, lo hanno rapito al party, si era preso due giorni di svago con Noa. Avete visto il video, terribile: guarda Noa che viene portata via in moto, non può far nulla, guarda dritto davanti a sé, so che sta cercando di far capire a Noa di non perdere la speranza. È un giovane positivo, che ha sempre amato la vita. Ma dal quel giorno non abbiamo saputo più nulla di lui. Non sappiamo se è vivo. Nulla. La mia speranza è che tutti gli ostaggi siano ancora vivi e stiano bene, che possano tornare a casa, subito, oggi. È dura, davvero dura non sapere nulla. Giorno dopo giorno e ogni giorno diventa più difficile. Vogliamo sostenere l’esercito che sta combattendo per liberare i nostri figli, ma sappiamo anche che Hamas li tiene come un’arma di ricatto. La via per rilasciare gli ostaggi è indebolire Hamas, il potere di Hamas, e costringere la milizia a trattare, ad uno accordo che sia il migliore possibile, perché sappiamo che il rilascio degli ostaggi deve avvenire nel rispetto della sicurezza di ogni israeliano».

Cosa la sostiene?

La fede. La fede. Noi sappiamo che non siamo al mondo solo per vivere la vita e goderci le vacanze, siamo al mondo per un scopo ed è quello di rendere il mondo migliore, è la nostra missione. Costruire un mondo che sia un luogo di armonia e amore. C’è posto per tutti in questo mondo, perché tutti possano vivere secondo la propria fede e ciò che amano. Il popolo di Israele ha un compito in questo progetto di Dio, da quattromila anni. E il motivo per cui Avinathan, mio figlio, è prigioniero è che voleva essere parte di questo progetto.

Che ragazzo è Avinathan?

È bello, davvero bello. Alto, intelligente, divertente, ama scherzare, ha un grande cuore, è generoso. Con lui ci si sente al sicuro: ti protegge. Beh, se tu dovessi essere rapito vorresti essere accanto a lui.

La madre di Noa, Loira, parla poco: è malata, affonda il viso tra le braccia di Nizza, trova la forza di un sorriso: «Prego, preghiamo insieme ogni giorno perché Noa e Avinathan tornino a casa».

Una speranza?

Sì, la speranza è che domani, oggi, tornino a casa e possano condividere la loro vita e costruire una casa insieme. È molto difficile sostenere questa situazione, ma ci facciano forza con i parenti degli altri ostaggi. Le famiglie sono unite. È il senso di essere insieme e anche chi non ha parenti tra gli ostaggi è con noi, incontriamo nuovi amici ogni giorno, fanno parte della nostra famiglia. Una grande famiglia che abbraccia tutti. Sono malata, spero di rivedere mia figlia, ma le dico, se mi può ascoltare: Noa ti aspetto a casa. Non so quanto vivrò, ma devi sapere che ti amo, e devi sapere che stiamo facendo di tutto per liberarti.

Exit mobile version