Havel e gli «splendidi attimi di risurrezione» della Pasqua in carcere

La Pasqua dell’82 passata in carcere a Plzeň-Bory fu per il drammaturgo e «dissidente» Václav Havel molto significativa, se è vero che la ritroviamo menzionata in alcuni suoi interventi pubblici da presidente cecoslovacco, immediatamente successivi al dissolvimento del regime comunista.

Già durante i primi mesi del suo mandato presidenziale, in occasione della Pasqua del 1990, ebbe modo di ritornare a quell’episodio in una delle prime Conversazioni da Lány, gli appuntamenti radiofonici settimanali che Havel aveva proposto per riprendere temi sociali e politici di attualità. Le registrazioni avvenivano dal castello di Lány, poco fuori Praga, che dal 1935 fu la dimora di Tomáš Masaryk, primo presidente della Cecoslovacchia e figura che Havel stimava molto.

Il 15 aprile del 1990, dopo aver parlato alla popolazione dell’imminente visita di Giovanni Paolo II che avrebbe contribuito ad «alzare i toni» della politica in vista delle prime elezioni libere dal dopoguerra, Havel accennò – molto di sfuggita – a quella sua esperienza dell’82.

Ma fu soprattutto un anno dopo, nella trasmissione del 31 marzo 1991, che ritornò sull’episodio.
È grazie alla Biblioteca Havel se abbiamo potuto riascoltare quest’anno l’audio integrale della Conversazione del 1991, mentre la stampa dell’epoca non riportò tutto il testo, preferendo dare spazio ai temi politici urgenti: la stesura della nuova Costituzione che avrebbe permesso allo Stato di prender forma democratica, la riforma agraria, e il doloroso problema della giustizia e delle lustrazioni. Su quest’ultimo, definito da Havel «un’ulcera che va operata anche se può far male», il suo pensiero superava giustizialismi giacobini: «Non si possono distruggere pubblicamente coloro che sono rimasti impigliati in quelle reti malvagie, e dimenticarsi di coloro che le avevano ordite», ma «la cosa più importante ora è creare spazio per il pentimento e il perdono».

Verso la fine della trasmissione Havel volle ritornare nuovamente alla Pasqua dell’82: «Una delle più belle Pasque che ho vissuto è stata quella passata in carcere a Plzeň-Bory. In quei giorni mi sentivo profondamente depresso per alcuni problemi legati alla vita carceraria, e ricordo di aver scritto a mia moglie che, a causa della depressione e delle mie azioni, mi ero confessato e in seguito avevo vissuto splendidi attimi di risurrezione, anche se tutto questo era accaduto durante gli esercizi ginnici che ci toccava fare».

In quei momenti era Jaroslav Duka, l’«amico sacerdote detenuto con noi» a fare da «guida spirituale» durante la ginnastica. Duka – oggi cardinale e arcivescovo di Praga – da giovane aveva lavorato come operaio, finché nel 1968 era entrato clandestinamente nell’Ordine domenicano assumendo il nome di Dominik. A Plzeň stava scontando la condanna a 15 mesi per elusione del controllo statale sulla Chiesa, periodo che coincise con la presenza di Havel e altri «dissidenti» nel medesimo carcere.

Havel spiegò che Duka «recitava regolarmente il rosario e lo alternava con la spiegazione delle stazioni della Via Crucis. Io ho vissuto un momento particolare di risveglio della speranza, all’improvviso mi è tornata la voglia di vivere, ero felice, contento, avevo la sensazione che tutto avesse un significato, che anche quella permanenza in carcere avesse senso. E ho ricominciato da capo la lettera indirizzata a casa, volevo darle un tono diverso, così ho aggiunto un post-scriptum scrivendo a mia moglie che non andava tutto così male. Quella frase un po’ vaga fu cancellata dalla censura, ma volevo solo informarla di ciò che avevo vissuto. Perché dico tutto questo? Perché qualsiasi sacrificio si può sopportare se sappiamo che ha un senso. Se non abbiamo questa certezza, allora brontoleremo per qualsiasi piccola ingiustizia e per qualunque minima privazione, anche se fossero giustificate».

In effetti la primavera del 1991 per Havel e i suoi concittadini fu un periodo difficile: «Stiamo proprio vivendo un’epoca di sacrificio – non mi riferisco solo all’aumento dei prezzi o alla disoccupazione o al fatto che le cose non vadano diversamente. Penso a un altro tipo di sacrificio: dobbiamo cioè superare la fase in cui ci preoccupiamo per tutto ciò che è stato solo avviato ma non ancora realizzato, per come sia tutto così complicato e intricato, e per la fatica con cui sta nascendo la nuova società – è una fase snervante che per tanta gente è ancor più pesante del fatto che il burro sia aumentato improvvisamente di 7 corone. Fa tutto parte del sacrificio, e credo che saremo in grado di compierne altri, e anche di maggiori, se capiremo che hanno senso, se avremo in mente proprio ciò che ci ricorda la Pasqua: l’introduzione di senso nella storia, nella vita umana, l’apertura di una prospettiva».

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