“Guida bioetica per terrestri”

Il testo ci guida alla riappropriazione della libertà di poter mettere in discussione ciò che il pensiero unico nega

Le recenti notizie sul darwinismo sociale in giro per il mondo (ad esempio: 10 stati Usa non daranno respiratori ai disabili e malati cronici) non confermano soltanto l’esistenza di un virus più pericoloso del covid-19, bensì anche che i fautori della crisi spirituale e morale del nostro tempo non riposano, nemmeno nel mezzo di una pandemia. Ma in “questa notte” non mancano i “vigilanti”, che con abnegazione mettono i propri talenti al servizio della verità, per il bene di ogni uomo. Tra questi vi è sicuramente la giovane Giulia Bovassi, come dimostra il suo ultimo libro Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso, edito da Berica; la sua prima fatica letterario-scientifica è L’eco della solidità. La nostalgia del richiamo tra antropologia liquida e postumanesimo (ne aveva parlato su tempi.it Aldo Vitale).

Bovassi è studiosa di filosofia e bioetica, docente e membro del team direttivo e di coordinamento dell’Istituto di Filosofia Applicata alla Consulenza e all’Etica (IFACE), docente assistente del corso di research methodology in Bioethics all’interno del master di secondo livello in Global Bioethics dell’Università di Anahuac in Messico, collabora con la Cattedra di Bioetica e Diritti Umani, unitamente al Gruppo di Ricerca in Neurobioetica. La Cattedra è sostenuta dalla Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma. 

Guida bioetica per terrestri è alla portata di tutti e affronta le principali conseguenze della crisi citata poc’anzi, tra le quali: contraccezione, cybersesso, aborto e il post aborto, utero in affitto. Il testo, si legge nell’introduzione, si propone di «tracciare il fil rouge che collega gli insegnamenti in tema di teologia morale familiare e sessuale dell’arcivescovo statunitense Fulton John Sheen contenuti in una delle sue più famose pubblicazioni, Tre per sposarsi, con un particolare settore di indagine bioetica, quello dei dilemmi cosiddetti di “inizio vita”, legati a problematiche su sessualità, famiglia, aborto, procreazione, per citarne alcune».

Edgar Allan Poe (critico letterario feroce, soprattutto con i libri altrui) asseriva: «Quanti bei libri sono lasciati nel dimenticatoio per colpa dell’inefficacia del loro attacco!». Ciò però non riguarda il suo libro, che fin dalla copertina attrae e corrobora, grazie alla bella immagine del venerabile arcivescovo di Newport.

Dottoressa Bovassi, chi o che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? 

Potrei dire che ad avermi spinto sia stato un accorgimento: la bioetica nel nostro Paese è di nicchia, oserei dire in evoluzione, ma ancora per molti aspetti sconosciuta e poco accorpata al sistema sociale. Essa però fa appello a chiunque e ciascuno di noi – lo sappia o no – è coinvolto nelle sue tematiche. Capito questo, occorre creare una crepa nel guscio bioetico e renderla accessibile, vicina fornendo strumenti utili. Mi è capitato spesso, in occasione di conferenze o mentre tenevo delle lezioni, di leggere negli occhi dell’uditorio delle lame dolorose ogni qual volta pronunciavo termini come “aborto”, “fecondazione”, “selezione embrionale”, etc. Ciò mi ha portato a definire la bioetica come “uno sguardo sull’uomo attraverso l’uomo”. L’idea di questo testo, perciò, è di consentire una guida alla portata di chiunque per orientarsi nell’esercizio bioetico. 

Quando ha “incontrato” il venerabile arcivescovo?

Più che un incontro oserei dire di essere stata investita dalla forza di questo immenso telepredicatore statunitense! Qui la lettura mediata dalle sue predicazioni si concentra sulla celebre opera Tre per sposarsi ed è con essa che il venerabile Fulton Sheen ha fatto ingresso nella mia vita durante i mesi di preparazione al matrimonio cristiano. Quando si approccia al suo testo (nel mio libro integrato con le questioni bioetiche di inizio vita) si compie un autentico corso fidanzati e due sono le possibilità: o ci si fa carico del mistero nuziale e gli sposi congiungono le mani sulla croce, oppure la forza del sacramento spiegato con la fermezza dell’arcivescovo ci travolge e destabilizza. A me ha svelato la bellezza inesauribile del matrimonio aiutandomi a capire il significato autentico di divenire sposi in Cristo e della genitorialità. 

C’entra la deriva antropologica provocata dal transumanismo (di cui ha ampiamente trattato nel suo precedente volume)?

Direi di sì, assolutamente. Qui inserisco un breve cenno alle distopie Trans e Post-umaniste per ciò che concerne il ruolo del “tecnosesso” o “digital-sex”: sappiamo che uno dei presupposti transumanisti è la neutralità corporea, quale fluidificazione e appiattimento anonimo dell’identità personale – che è anche l’appartenenza al proprio sé somatico – così da poter agire sul corpo come se ciò non riguardasse tutta la persona nella sua complessità. Questo presupposto è ampiamente parte del pensiero dominante attuale, il quale ha preparato terreno fertile a queste correnti. Considerando il Transumanesimo come aspirazione all’ottimizzazione di un post-human servizievole a piacere e benessere, nell’intento di sconfiggere sofferenza, limiti umani e morte, possiamo dire che esso estremizza una forma mentis già da tempo presente in svariati dilemmi bioetici che analizzano il peso morale di un diritto trasformato in desiderio e di uomini che pongono il loro agire a manipolazione e amministrazione della vita o della morte altrui. 

Che percorso fa fare all’uomo?

Lo accompagna gradualmente nei vari passaggi della bioetica di inizio vita. Per parlare di maternità surrogata, ad esempio, occorre capire non solo la forzatura biotecnologica e commerciale che vi sottostà, bensì cosa significhi la genitorialità e perché l’unione sessuale è parte di un significato molto più ampio come quello della sponsalità. Si parte da due estranei che decidono di camminare verso l’altare ragionando criticamente sul perché abbiamo svenduto valori come castità, continenza, pudore, donazione sponsale, etc.; si prosegue verso il significato della realtà familiare e l’apertura alla vita; fino al dramma dell’aborto e di altre pratiche lesive della dignità umana. Senza pretesa di esaustività, il testo guida l’uomo a muovere i primi passi verso la riappropriazione della libertà di poter mettere in discussione ciò che il pensiero unico nega. 

L’“alleanza” tra la bioetica e la teologia morale familiare e sessuale – al centro del suo libro – riguarda soltanto i cattolici o può anche essere accettata dai non credenti?

Si rivolge a tutti coloro che hanno sete di uscire da ideologie impregnate di slogan preconfezionati dove ciò che è etico – e si oppone al frequente stravolgimento dei diritti umani e della libertà in una fatiscente licenziosità lesiva della dignità umana – è senza dubbio “retrogrado”, ma hanno sufficiente elasticità mentale per indagare ciò che il bipensiero tende a occultare al fine di prevenire l’insinuazione legittima del dubbio. I princìpi che ispirano la bioetica personalista (basata cioè sul personalismo ontologicamente fondato) trovano piena corrispondenza nell’insegnamento cattolico, il quale avvalora ciò che essi incarnano. 

Lo scorso 18 febbraio lei è stata audita in commissione Giustizia della Camera dei deputati, nell’ambito del controverso disegno di legge anti-omotransfobia (ddl Zan): qualora fosse approvato, quali implicazioni bioetiche e biopolitiche?

Solo questa domanda meriterebbe ampi spazi! Come ho sottolineato anche nel corso dell’audizione parlamentare, proprio il presupposto che l’essere umano detiene dignità intrinseca dalla quale derivano diritti e doveri non negoziabili, fa sì che gli sia dovuta la loro salvaguardia a prescindere dalle scelte personali che un individuo compie. Ciò però è valido per chiunque e non comporta misura coercitive per imporre la condivisione (differente dal rispetto dovuto alla persona) verso suddette scelte. Questa proposta di legge non ci chiede di discutere attorno ai Gender studies o alle unioni civili, ma sulla libertà di pensiero. Qui ricadono le implicazioni biopolitiche e bioetiche: “omofobia” (a detta di autorevoli studiosi Lgbtq, come è possibile verificare dalle fonti citate nel testo pubblico della mia audizione) è un termine oggettivamente ambiguo. Allo stesso modo la penalizzazione dell’odio, che è un sentimento, rende pericolosamente labile e indeterminata la fattispecie giuridica. Sicché, come già hanno avuto modo di dimostrare episodi nazionali e sovranazionali di discriminazione verso persone che mostravano legittimo dissenso nei confronti ad esempio della maternità surrogata o degli Studi di denere, la percezione “discriminatoria” è drasticamente fluida. Qui si insinua il pericolo per la libertà religiosa (pensiamo alla morale sessuale cattolica, per citarne una), di pensiero e opinione. Ciò che oggi la legge punisce è la conversione dell’odio in un crimine di fatto; non viene perseguito l’odio in sé. Se un individuo viene leso nei suoi diritti è giusto difenderlo, chiunque egli sia, poiché è un essere umano. E questo l’attuale legislazione lo fa. Quindi non vi sono ragioni per creare delle sottocategorie preferenziali di cittadini da tutelare rispetto ad altri, pena l’istituzionalizzazione della famosa citazione orwelliana: «Alcuni animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri». 

Foto Ansa

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