Gli unici corsi utili contro bullismo e abbrutimento sarebbero le vite dei santi

Si potrebbe fare scuola, educare il prossimo tuo come te stesso anche solo leggendo certe storie di questi qui che a 13-14 anni hanno lottato per l’uomo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Giovinezza giovinezza. Si chiamava Elisabetta. Nata in un campo militare. Entrata in clausura a 21 anni. Morta in clausura a 26. Il 25 settembre 1984 Giovanni Paolo II la dichiarò beata. Il 16 ottobre 2016 papa Francesco l’ha proclamata santa. Per farla breve, nel profilo che ci offrono le consorelle Carmelitane Scalze di Bologna, le cose stanno così. «Elisabeth Catez nacque il 18 luglio 1880 nel Campo d’Avor presso Bourges in Francia e fu battezzata quattro giorni dopo. Nel 1887 la famiglia si trasferì a Digione; quello stesso anno le morì il padre. Nel 1894 emise il voto privato di verginità.

Sentendosi chiamata alla vita religiosa, chiese alla madre il permesso di poter entrare al Carmelo: poté riuscirci solo al compimento della maggiore età. Il 2 agosto 1901 Elisabeth entrò nel Carmelo di Digione dove l’8 dicembre 1901 vestì l’abito religioso, assumendo il nome di suor Elisabetta della Trinità. Pochi mesi dopo aver emesso la professione religiosa, avvenuta l’11 gennaio 1903, le si manifestarono i sintomi del morbo di Addison: l’accettò col sorriso, certa di essere immersa nell’unione delle Tre Persone divine. Morì ventiseienne il 9 novembre 1906».

Leggendo qua e là altre carte dei biografi, le cose stanno così. C’è una ragazzina che desidera ardentemente darsi a Dio già a tredici-quattordici anni. Ma che realizza questa sua aspirazione solo allo scoccare della maggiore età. Perché? Perché sua madre, giustamente, pensa ad altro per lei. Pensa a quello che pensano tutte le mamme del mondo. E cioè pensa a dare a sua figlia una dote e un buon partito. Perciò prende e introduce la figlia a balli e feste in società. Affinché Elisabetta, primogenita di Marie Roland, vedova del capitano Joseph Catez, possa incontrare un pretendente e gettare le basi di un onesto matrimonio. Purtroppo, si sa, le buone intenzioni delle mamme talvolta finiscono a ramengo. E così, invece di un genero in casa, finisce che si trovano una figlia in Carmelo.

La bellezza di una fede bambina
Allora io penso questo di tutte le preoccupazioni del mondo che con i corsi di affettività e le regole cercano di mettere una pezza al disastro crescente di ragazzini bruciati, di bullismi e di giovani vite buttate via, nella noia e nelle droghe, nelle baby gang e nelle baby squillo, nei femminicidi e nelle gare a rendersi brutti, tatuati e somari. Penso che violenza e bruttezza (che poi sono sinonimi che sogniamo di curare con le manette verbali del politicamente corretto, con i controlli ai “mi piace”) andrebbero affrontatate con l’ardente bellezza di una speranza bambina, una fede bambina, una carità bambina. Penso che padri e madri dovrebbero frequentare i conventi di clausura. E che gli insegnanti dovrebbero far lezione nelle faggete o nelle capanne di latta, senza magari né aule né banchi, con il tetto che fa acqua da tutte le parti. Perché sotto il cielo pieno di stelle, talvolta piove anche. E talvolta fa anche bene prendersi una lavata di testa.

Fa niente se le aule sono sgarrupate. Fa niente se Scampia trionfa anche dietro le facciate delle scuole perbene. Se c’è anche solo un calendario, se ti procuri anche solo i nomi dei santi in calendario, tu puoi fare scuola, combattere la bruttura e veder crescere il prossimo tuo come te stesso anche solo leggendo certe vite di questi qui che a tredici-quattordici anni hanno lottato per l’essere umano più di qualunque diritto sbandierato dalla signora Clinton (e si vede poi come va il diritto nelle sparatorie di tutti i santi giorni nella sempre più politicamente corretta America).

Lo so, nessuno seguirà questi consigli. Perché adesso pure preti, suore e principi della Chiesa vogliono essere moderni. Ma essere moderni non significa altro che questo: camicia di forza e tutto il resto. Significa, quante più identità possibili, quanti più sforzi organizzati o individuali possibili, quanta più distrazione di massa ed emozioni possibili, tanto meglio se servono ad allontanare e a sfigurare il Logos. Sfigurare e allontanare ragione e bellezza. Sfigurare e allontanare ogni anelito a Dio.

Perciò, in assenza del Logos, siamo governati dai diritti. O dalla “tenerezza”, direbbe Flannery O’Connor. «Una tenerezza che da tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria». Ma «quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore». Detto ciò, tanti saluti e baci alle nostre amiche, claustrali e tempiste, di Bologna e di Vitorchiano, di Val Serena e di Praga.

@LuigiAmicone

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