Non è come la racconta Travaglio. Gli inglesi non hanno voluto Cellino al Leeds per puro pregiudizio anti-italiano

Il giornalista plaude l'autorità inglese, per cui basta una condanna in primo grado per bloccare la trattativa d'acquisto della squadra. Qui si elencano anche gli altri motivi

Precisiamo in partenza che a nessuno interessa difendere a spada tratta Massimo Cellino. Eppure, nel tentativo che l’ex patron del Cagliari ha fatto di acquisire il Leeds United, squadra dal passato altisonante ora relegata a metà classifica nella Serie B inglese, ci sono tanti aspetti abbastanza ambigui, osannati dalla stampa italiana (l’ultimo è stato Marco Travaglio a Servizio pubblico) come simbolo di rettitudine del mondo british a differenza dello sporco affarismo di casa nostra.

IL TENTATIVO DI ACQUISTO. Cellino ha cercato di acquistare il Leeds e l’1 febbraio del 2014 era arrivato ad un accordo col gruppo mediorientale GFH Capital, proprietario dei Lilywhites, per il passaggio del 75 per cento delle quote del club alla sua Eleonora Sport Ltd. Tra i tifosi inglesi è montata una certa diffidenza (se non proprio avversione) verso la nuova dirigenza italiana, ma il vero bastone tra le ruote al takeover di Cellino del club è stata la decisione che la Football League ha preso quattro giorni fa, bloccando in toto l’acquisto. A pesare è la condanna di primo grado per evasione fiscale che l’ex patron del Cagliari ha ricevuto lo scorso 17 marzo, per aver evaso Iva e dazi per 400 mila euro nell’acquisto di un’imbarcazione dagli Stati Uniti, poi trasferita in Italia. La barca è stata sequestrata e Cellino dovrà pagare una sanzione pari a 600 mila euro. Di conseguenza dovrà stare fuori dal calcio britannico, poiché, in base all’“Owners and Directors Test”, non ha i requisiti giusti per diventare proprietario di una squadra inglese.

GLI ALTRI PRESIDENTI. A Londra basta una condanna in primo grado per applicare la norma alla lettera ed essere considerato persona sgradita, ha sottolineato Travaglio a Servizio Pubblico. Ma davvero crediamo che gli inglesi abbiano deciso solo in base a questo? Qualche dubbio sorge. Piuttosto, sembra che la condanna per lo yacht sia stata l’occasione che i vertici del calcio british aspettavano per mettere fuori gioco un personaggio controverso e poco amato, mostrando una durezza di pugno decisamente maggiore di quella usata per tanti altri soggetti discutibili che siedono sulle poltrone di mezza Premier League.
Il passato di Abramovich, ad esempio, è tutt’altro che roseo, così come quello di Carson Yeung, condannato per riciclaggio di denaro ad Hong Kong ma ancora proprietario del Birmingham. Andando indietro negli anni, nessuno mosse un dito quando l’ex primo ministro thailandese Shinawatra divenne presidente del Manchester City nonostante le accuse di corruzione, abuso di potere e violazione dei diritti umani. E quanto silenzio ci fu dai piani alti del pallone britannico quando nel 2005 Malcolm Glazer acquisto lo United chiedendo un prestito di più di 500 milioni di dollari offrendo, come garanzia, le risorse del club stesso.

I TIFOSI VESTITI DA MAFIOSI. Evidentemente per il calcio inglese i milioni hanno profumi e pesi diversi e il capitale dei granai sardi non vale nulla in confronto al petrolio russo. Quanti giornali italiani lo hanno scritto? A voler dar sfogo all’indignazione si può parlare di vero e proprio “razzismo” o, per lo meno, diffidenza verso gli italiani. Parole che non abbiamo trovato sulla stampa di casa nostra nemmeno quando, il 1° marzo, i tifosi del Leeds hanno contestato in maniera coriacea il nuovo proprietario, indossando pachuco giallo, camicia nera e cravatta bianca, stereotipi per loro della mafia. All’epoca ancora non c’era la condanna per lo yacht, Cellino era figura sospetta, ma l’equazione “italiano uguale mafia” puzza di discriminazione da bar. Per le cronache calcistiche ogni occasione è buona per gridare al razzismo, ma non quella protesta, che i nostri giornali definirono, tutt’al più, singolare e colorata.

@LeleMichela

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