Giannino: Auguri a Renzi perché se vince lui perdono i mandarini alla Scalfari

La sua coraggiosa iniziativa è l’unico tentativo di rinnovamento. Un suo trionfo produrrebbe la rottura della continuità ideologica difesa da Repubblica e Pd

Il Pd ha scelto le regole con le quali tenere le primarie. Di questo va reso merito al partito e al suo segretario, che ha rinunciato alla norma statutaria che gli conferiva di diritto il ruolo di candidato premier. Delle “vecchie” forze politiche, una sola, travolta dagli scandali e dal bilancio disastroso di collaborazione per 18 anni con Berlusconi, ha cambiato leader e linea. Ed è appunto la Lega, che ha pensionato Bossi e scelto Maroni. Ma il Pd è l’unica forza politica che nella scelta del candidato premier da proporre a un’alleanza sceglie di coinvolgere iscritti ed elettori. È un merito, qualunque cosa pensiate del Pd, della sua storia, e dei patti oligarchici con i quali sono state scelte le sue leadership. Una sola volta per la segreteria post-Pci si coinvolse in qualche modo la base, ma il segretario non fu Veltroni, preferito dal cosiddetto “popolo dei fax”, bensì D’Alema. Da patti oligarchici vennero poi Veltroni e Fassino, come il segretario attuale Bersani. Ma Prodi riuscì a far passare l’idea delle primarie per il candidato premier, e su questa idea giusta il Pd non è arretrato. Il Pdl resta indietro anni luce. Lo dico anche dopo aver letto il manifesto neotradizionalista firmato da alcuni dei suo esponenti, manifesto che non contiene una riga di autocritica sul fatto che in 18 anni di Berlusconi politiche come quelle che nel manifesto vengono sostenute (famiglia, sussidiarietà e via continuando) non si sono viste neanche col più potente dei telescopi.

Reso al Pd il giusto tributo, veniamo al merito della scelta. Se il partito ha deciso nella sua pletorica assemblea le primarie, il merito è solo di Matteo Renzi, della sua coraggiosa e tagliente iniziativa. L’unico vero grande tentativo di discontinuità partorito dal vecchio sistema dei partiti. Tutti gli altri, da Grillo per primo a Fermareildeclino per ultimo, sono fieramente estranei al recinto del vecchio circo Barnum. Non so se Renzi abbia fatto bene ad accettare le modalità stabilite, cioè il registro degli elettori sostenitori dell’alleanza “progressista e democratica”, alleanza che Bersani ha avuto mandato di definire trattando in prima persona, estendendone i princìpi che gli elettori partecipanti alle primarie dovranno dichiarare di sottoscrivere a prescindere, per poter votare. A me pare una classica pretesa da partito-Chiesa: pretendere che i princìpi e l’alleanza debbano essere eguali se vince Vendola o se vince Renzi è una fesseria pura. È il vecchio copione: “Compagno, se hai perso meglio umiliarti e restare col partito di cui sei minoranza tollerata che uscire e tradire i compagni indebolendoli in faccia al nemico”. Credo che con questo sistema Renzi abbia chance di vincere al primo turno solo se porta a iscriversi più dei 3,2 milioni che – si disse – portò Prodi. Non è facilissmo. Al secondo turno, non potendosi più iscrivere alcun elettore, Vendola con la sua candidatura ha fatto a Bersani il favore di diventare candidato mediano, cioè vincente.

Anche se non bisognerebbe nemmeno tifare
Intendiamoci, io mi auguro che Renzi ce la faccia. Certo, chi come me è interessato a un’offerta politica estranea ai vecchi partiti, non potrà andare a votare per lui. Anzi dovrà astenersi anche dal tifare. Perché è evidente qual è l’accusa più vibrante rivolta al sindaco di Firenze da tutte le correnti Pd. Tutte tutte, non solo la maggioranza convinta che dopo Berlusconi si debba finalmente farla finita con la finzione quindecennale di stimare Blair, al posto della vecchia linea Stato-spesa-tasse. Renzi sta sulle scatole ai cattocomunisti come Bindi e Franceschini, i più lividi nelle stroncature personali. Sta sugli zebedei persino ai liberal come Morando ed Enrico Letta, cosa che appare senza senso, almeno a me che li stimo personalmente. Qual è l’accusa? Nella forma di anatema sommo-sacerdotale, l’avete letta su Repubblica il 30 settembre, scagliata verso il cielo da Eugenio Scalfari. Renzi non è solo un ragazzino vuoto, ambizioso imitatore di parole d’ordine altrui. È soprattutto una quinta colonna di Silvio, un Quisling, un pupazzo nelle mani di un ex televisionaro Mediaset. Un virus che porta a decesso un vecchio corpo glorioso, non un antidoto ai veleni che ha ingerito.

È la miglior prova del perché se vincesse Renzi si produrrebbero cose positive: sarebbe la rottura della continuità ideologica che Scalfari difende insieme ai mandarini rossi. E lo dico pur non capendo che cosa davvero proponga su debito pubblico, spesa e tasse, visto che la sua prima idea annunciata in tv, quella dei cento euro pubblici in tasca a chiunque ne abbia meno di duemila al mese, è una fregnaccia berlusconian-bengodiana bella e buona. E se invece Renzi perde, magari bene ma perde? Peccato, vorrà dire che l’elefantone rosso se lo digerirà piano piano. Un’altra grande occasione perduta, e a maggior ragione uno sprone a cambiare le cose da fuori, rispetto ai vecchi dinosauri partitici. O almeno a provarci, che sia facile non me l’avete di sicuro mai sentito dire.

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