Meno analisi, più gesti. Ipotesi per rivoluzionare la conoscenza

Un convegno internazionale a Campobasso prova a cambiare il paradigma intellettualistico che domina il mondo della cultura e dell'educazione

Giorgio Chiellini prima dei rigori contro la Spagna a Euro 2020 (foto Ansa)

Che cos’è un gesto? Soltanto un movimento del corpo, magari incontrollato, con cui comunichiamo il nostro stato d’animo? Una scorciatoia per dire in modo un po’ primitivo qualcosa, oppure molto di più? Molto di più, dice a Tempi Giovanni Maddalena, ordinario di Filosofia teoretica all’Università del Molise. Anche se può sembrare, la risposta non è viziata dal fatto che Maddalena questa settimana organizza un convegno internazionale sul gesto – “Gestures: new meanings for an old word– presso l’Ateneo con sede a Campobasso, in Molise. Si comincia mercoledì 15 settembre, si finisce sabato 18.

Si capisce facendo

«Il convegno internazionale – ha scritto su Zafferano – vuole dire che questi movimenti del corpo, che vanno dalla gesticolazione ai più complessi emblemi (la celebre mano a borsa per dire “che vuoi?” o quella sotto il mento per dire “non m’importa”) per finire con le utilissime lingue dei segni per persone sorde, sono livelli iniziali di una possibilità di incarnare i significati, in modo sintetico, all’interno di azioni».

Perché una persona comune dovrebbe andare a Campobasso, o seguire i lavori online? «Il tema del “gesto” riguarda la conoscenza», spiega Maddalena, arrivando a parlare di «una rivoluzione. Il convegno vuole raccordare le tante critiche al paradigma intellettualistico oggi dominante nel mondo della cultura e dell’educazione. Quel paradigma è basato sul fatto che per sapere qualcosa, per essere certi di qualcosa, bisogna fare delle analisi concettuali».

Non è così? «Ovviamente non è falso, ma non basta: l’analisi è soltanto un aspetto della conoscenza, non il principale né tantomeno quello originario. La nostra conoscenza non si accresce intellettualisticamente pensando in modo solitario e astratto, ma si forma soprattutto agendo, toccando, dialogando – che è un gesto – disegnando, suonando, scrivendo, convivendo, amando». Parliamo di un modo di conoscere che ci è familiare fin da quando siamo bambini, insomma, «un modo più naturale, che comprende il corpo e che è fatto di azioni». In sintesi? «Si capisce facendo». Buttiamo via l’analisi intellettualistica? «Certo che no. È importante, ma viene dopo, quando riflettiamo sulla conoscenza formata sinteticamente in azione».

Una pedagogia diversa

Tre giorni, quaranta relatori, sessioni impegnative e nomi importanti a livello mondiale: «Un aspetto interessante – prosegue Maddalena – è che il fatto che noi impariamo le cose in maniera unitaria, facendo, è vero per diverse tradizioni di pensiero. Io non voglio creare un’ortodossia, c’è tanta gente che parla di superare il paradigma super razionalista alla base della cultura dell’occidente». Parliamo di esperienze che tutti fanno o hanno fatto: «Non serve conoscere tutto della vita di un compositore per capire un brano di musica classica, così come il significato della carità si capisce facendo un gesto di educazione alla carità». Anche «le ricerche più recenti di matematica teorica e altre discipline teoriche confermano che il modo naturale di conoscere è più quello sintetico di quello analitico».

A cosa serve una filosofia del gesto, provochiamo, a nulla come tutta la filosofia? «La ricaduta “concreta” più semplice e immediata è una pedagogia diversa – dice Maddalena – Cambia il modo di insegnare: devi pensare a delle azioni significative per gli studenti, la ricaduta pratica si capisce in azione». Una cura per questi tempi di linguaggio politicamente corretto, problema che «deriva dal fatto che abbiamo passato gli ultimi cinquant’anni a dire che la realtà coincide con il linguaggio, e che quindi cambiando il linguaggio cambi la realtà. Invece la realtà coincide col gesto, il linguaggio la cambia ma non è il suo aspetto principale».

Il tentativo del convegno di Campobasso è quello di provare a inserire «una concezione diversa. E sta funzionando: Tutti si rendono contro che il sistema di pensiero analitico è arrivato a una stasi, almeno in filosofia. Solo con quello non avanziamo nella comprensione dell’esperienza». Non sarà filosofia politica, va bene, «ma la conoscenza conta – conclude Maddalena – La testa delle persone si forma lì».

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