L’ultima prostituzione di Cecilia Gentili

Nessun “funerale cattolico di una attivista transgender” in Saint Patrick, bensì lo show-investitura di una divinità Lgbt sul «palcoscenico» del nemico. Ma tra un’Ave Cecilia e applausi a «questa gran puttana» non affonda solo la Chiesa

L’icona transgender Cecilia Gentili nel video di presentazione del suo spettacolo Red Ink

«Benvenuti nella Cattedrale di Saint Patrick, solo a Pasqua vediamo una folla come quella di oggi», con queste parole il reverendo Edward Dougherty ha accolto nella cattedrale di New York un migliaio di persone riunitesi per il funerale di Cecilia Gentili, ex prostituta, attivista trans, atea dichiarata. È accaduto giovedì 15 febbraio, all’indomani delle Ceneri, e la celebrazione ha suscitato sconcerto e indignazione, tanto che il cardinale Timothy Dolan ha autorizzato una messa di riparazione e il rettore di Saint Patrick ha chiesto preghiere, perché il fatto è accaduto durante la Quaresima.

Molte dita si sono lanciate sulle tastiere per titolare: funerale cattolico di una prostituta trans atea. L’intento evidente era quello di inscenare uno scandaloso show mediatico.

Lo scatto «myass» e le guepiere nella cattedrale

Nulla si sa della veglia funebre di preghiera a porte chiuse che è stata celebrata per la Gentili in una chiesa battista del Queens la sera prima dei fatti di Saint Patrick. Se un fiato di fede è nascosto tra le righe di questa storia, di sicuro non doveva essere il fulcro dello spettacolo a Saint Patrick esibito a favore di ogni schermo e telecamera.
La notizia è girata come «messa blasfema» nella cattedrale di New York, ed è il primo dato da correggere. Il rito funebre è visibile su Youtube e non è una messa, non è stata celebrata l’Eucarestia. Chi vedrà la celebrazione per intero non assisterà a 45 minuti di scandaloso spettacolo sacrilego in chiesa, le cose procedono nel solco di un’apparente normalità per buona parte del rito. Questo non significa sminuire la gravità dell’accaduto. Nonostante la condotta tranquilla e ignara della liturgia (al momento del Padre Nostro è difficile udire qualcuno tra i mille presenti che preghi insieme al sacerdote), molti tra i presenti sfoggiavano un abbigliamento chiaramente irrispettoso – eufemismo – del luogo. Ed è una provocazione di sfregio voluto.

Uno degli organizzatori del funerale, Fran Tirado, si è immortalato all’ingresso di Saint Patrick mostrando il suo lato B e diffondendo lo scatto su Instagram con la didascalia «myass» (il mio culo), chiaramente allusiva di «mass» (messa).
C’è da dubitare che in altri edifici pubblici, diciamo una biblioteca, sarebbe stato consentito di entrare in completi intimi sexy e guepiere, eppure outfit del tutto fuori luogo sono stati accolti a Saint Patrick senza che qualche membro della chiesa ne abbia fatto notare la sconvenienza. L’evangelica accoglienza del peccatore non è un lasciapassare con paraocchi.

«Ave Cecilia», «Questa puttana, gran puttana, Santa Cecilia madre di tutte le puttane»

Sono tre i momenti volutamente offensivi accaduti nel corso del rito. Durante gli elogi funebri hanno preso parola tre amici del defunto trans, uno di loro ha invitato la platea a urlare ripetutamente il nome di Cecilia. Applausi e grida hanno riempito le navate. «È per questo che siamo qui», aizzava dal microfono il trans Ceyenne Doroshow, avvolto da pailletts viola. Per cosa?

La risposta è stata esplicitata nel successivo elogio funebre. Al microfono viene ripetuta in spagnolo e in inglese una lode al defunto: «Questa puttana, gran puttana, Santa Cecilia madre di tutte le puttane». È per questo che siamo qui, cioè: nella cattedrale icona di New York siamo venuti a portare un’altra icona, siamo venuti a fare un rito di consacrazione alla nostra santa che è una puttana.

https://twitter.com/TheRevLeon/status/1759239418504716696

A chiosa dell’intento dissacrante, sull’Ave Maria di Schubert è andato in scena il motteggio di un balletto classico per le navate, accompagnato da altri scrosci di applausi. Il video di questo balletto è stato poi diffuso sui social con i sottotitoli: «Ave Cecilia» al posto di Maria. E si sono moltiplicate presto immagini di Gentili in versione santificata.

«Abbiamo sfidato radicalmente l’ipocrisia della chiesa e l’odio anti-trans»

Dunque non un funerale, ma l’investitura di una divinità dell’olimpo arcobaleno in un luogo sacro dei cattolici: questo era il piano, peraltro esplicitamente dichiarato dagli organizzatori. Pur essendosi presentati alla chiesa per richiedere le esequie di una persona di fede, tacendo che era un transgender, alla stampa è stato dichiarato altro: «Abbiamo portato vita preziosa e gioia radicale alla Cattedrale sfidando radicalmente l’ipocrisia della chiesa e l’odio anti-trans», ha detto la famiglia di Gentili. Era una sfida.

In un’altra testata di attivismo LGBTQ+ si legge: «Con un gesto senza precedenti e profondamente simbolico, la Cattedrale di San Patrizio, un luogo un tempo coinvolto negli scontri dell’attivismo contro l’Aids, è diventata il palcoscenico per l’omaggio finale a Cecilia Gentili».
Palcoscenico, omaggio. Chiarissimo.

Dare all’atea blasfema quello che è Dio

E proprio a proposito di spettacoli, la pezza giustificativa del «l’abbiamo fatto per aiutare le persone transgender a essere accolte dalla chiesa» non tiene, perché a Cecilia Gentili non interessava la Chiesa, anzi ne era fiera oppositrice. A un evento pubblico del 2023 aveva dichiarato: «Se credessi nell’aldilà – e non ci credo – direi che mia madre sarebbe fiera di me. Ma proprio non ci credo». Nel suo ultimo spettacolo Off Broadway intitolato Inchiostro rosso esordiva dichiarandosi atea e aggiungeva: «Io non credo in Dio, ma Dio vuole che io sia sempre, sempre la star dello spettacolo».

E questa è la perfetta lettura del suo rito funebre, il suo nome che risuona forte nella cattedrale quasi a prenderne possesso. Diamo a Cecilia quello che è Dio.
In uno spettacolo precedente intitolato Il coltello taglia da entrambi i lati, Cecilia Gentili era andata anche oltre nel vituperio, raccontando in tutti i dettagli più sconci di aver fatto sesso orale a un uomo che aveva tatuato sul pene il volto di Gesù. Indugiando su allusioni di grandezza e benedizione finale, ammiccava a un pubblico inebriato dall’umorismo blasfemo. Perché portare in chiesa la salma di una persona che da molto tempo aveva fieramente voltato le spalle a Dio?
Certo, non si può escludere una conversione sul letto di morte, e la morte è «sorella» proprio perché è capace di pulire la vista dell’anima fin nel profondo e portare tra le braccia di un Padre anche chi lo ha fieramente bestemmiato per decadi.

Il vero nome di “Cecilia”, appellativo che copre ma non cura le ferite

Ma la versione ostentata dai video girati ad hoc dentro la cattedrale ci vuole raccontare che «la madre di tutte le puttane» si è prostituita una volta di più, per trasformare un funerale nell’atto finale dello spettacolo di un trans ateo fiero di essere blasfemo sul palcoscenico più prestigioso di tutti, la casa sacra del nemico. A cadavere non ancora troppo freddo, Cecilia Gentili è stata usata per giocare a un «affonda la flotta cattolica» sempre più diffuso su scala mondiale. Ricordiamo le fiamme a Notre Dame, sempre più cattedrali occidentali subiscono attacchi tesi a raderle al suolo, spiritualmente. E dunque si voleva urlare: Saint Patrick, colpita e affondata.
Ma di affondato c’è soprattutto altro. Ad esempio, nelle pur dettagliate biografie non c’è traccia del vero nome di Cecilia Gentili, quello con cui è stata battezzato. Quel nome maschile che portava da bambino quando ha subito ripetute violenze sessuali. Più che una transizione di genere, s’intuisce una ringhiata, e dolorosissima, volontà di cancellare la parte più scandalosa di sé. Quella vulnerabilmente colpita.

Se dentro Saint Patrick è avvenuto un vero incontro tra Dio e l’anima defunta, proprio solo Dio lo sa. Perché, a dispetto delle intenzioni dei presenti, Lui era presente in casa sua. E c’è proprio da augurarsi che le sue vie non siano le nostre vie. Che trovi Dio una via di misericordia per sussurrare il nostro nome più vero, a dispetto di tutto l’orgoglio con cui qualcuno prova a santificarsi con un appellativo che copre, ma non cura le ferite inferte da un coltello che taglia da entrambi i lati.

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