Le conseguenze dei fallimenti militari francesi in Africa

Un libro indaga la perdita di influenza di Parigi nel Sahel raccontando le operazioni senza successo di Hollande e Macron in Mali. Colonialismo e ambiguità favoriscono i jihadisti

Parigi. Era il 2 febbraio del 2013 quando l’allora presidente della Repubblica francese, il socialista François Hollande, si recò a Timbuctù e in seguito a Bamako, per rivendicare con toni à la De Gaulle il successo dell’operazione Serval, lanciata tre settimane prima per ripristinare la sovranità del Mali nei territori sahariani settentrionali, occupati da fazioni di matrice tuareg-jihadista. Parigi, sollecitata dall’allora presidente maliano Dioncounda Traoré, mobilitò 5mila soldati, i Dassault Mirage F1CR e gli elicotteri Puma per riconquistare il nord del Mali. “Benvenuto al salvatore François Hollande!”, “Dio benedica la Francia!”, “È la Francia che ha salvato il mondo!”, gridavano gli abitanti di Bamako al passaggio di Hollande.

Dopo il “successo” in Sahel, il caos

Ma a nove anni di distanza dal “successo” dell’operazione Serval, in Mali, la situazione è peggiorata: la Francia se ne è andata a gambe levate, umiliata e spinta verso l’uscita per via delle relazioni esecrabili tra l’Eliseo e le nuove autorità maliane, senza aver sconfitto i jihadisti, anzi, permettendo loro di controllare ancora più territori, e creando un caos simile a quello lasciato dall’intervento scellerato di Nicolas Sarkozy in Libia nel 2011. Ma la fine dell’operazione esterna francese (l’ultimo soldato dell’operazione Barkhane, che ha sostituito nell’estate del 2014 l’operazione Serval, ha lasciato il Mali nell’agosto 2022) non si spiega soltanto con il divorzio politico-diplomatico con le autorità maliane. Parigi è affondata progressivamente nel pantano del Mali anche per i suoi comportamenti sospetti e ambigui nei confronti dei jihadisti, che hanno contribuito ad alimentare un sentimento antifrancese nel Paese.

I jihadisti riconquistano terreno

Al fallimento delle operazioni Serval e Barkhane in Mali sotto le presidenze Hollande e Macron, simbolo della perdita di influenza di Parigi in Africa, ha dedicato un libro Rémi Carayol, animatore del sito Afrique XXI e giornalista di Mediapart, intitolato: “Le Mirage Sahélien. La France en guerre en Afrique. Serval, Barkhane, et après?” (La Découverte).

«L’intervento militare lanciato dalla Francia nel Sahel si è trasformato in un fallimento. Lanciata nel gennaio 2013, l’operazione Serval assomigliava inizialmente a una success story […] Ma in pochi mesi, l’operazione Barkhane, che sostituisce l’operazione Serval nel luglio 2014, si impantana. I jihadisti riconquistato terreno in Mali e brulicano in tutto il Sahel: gruppi locali, legati ad al Qaeda e allo Stato islamico, si costituiscono e reclutano a tutto spiano, approfittando delle ingiustizie e della miseria per porsi come un’alternativa agli Stati in decomposizione. Nel corso degli anni, la regione sprofonda in un caos securitario e politico: muoiono migliaia di civili e si moltiplicano i colpi di Stato militari», scrive Rémi Carayol. Che punta il dito contro gli errori strategici e le sbavature delle autorità francesi.

Colonialismo e ambiguità francesi in Sahel

«L’esercito francese, impregnato di ideologia coloniale e impantanato negli schemi obsoleti della “guerra contro il terrorismo”, si mostra incapace di analizzare correttamente la situazione. Stretto nella morsa tra i responsabili francesi che non vogliono perdere la faccia e i dirigenti africani che si sottraggono alle loro responsabilità, moltiplica gli errori e gli abusi. Vengono uccisi dei civili. Alcuni informatori vengono abbandonati alla vendetta dei jihadisti. Le manifestazioni antifrancesi vengono violentemente represse. Col pretesto della lotta contro la “barbarie”, la Francia ha rinnegato i princìpi che afferma di difendere sulla scena internazionale», denuncia il giornalista di Mediapart.

Nel suo libro, Carayol evoca l’eredità ancora presente nell’esercito francese dell’ideologia di Hubert Lyautey, ministro della Guerra in epoca coloniale, e la rabbia della maggioranza della popolazione maliana verso “l’ingerenza neocoloniale” di Parigi. «Mai colpevoli, mai responsabili. Non commettono mai errori e non si mettono mai in discussione, i francesi», dice all’autore in forma anonima un ufficiale maliano. A questo si aggiunge la «complicità con i terroristi» di Parigi, che era stata denunciata lo scorso anno dalle autorità maliane. In una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, il ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, accusò la Francia di fornire armi, munizioni e supporto di intelligence ai jihadisti che operano in Mali, di attività di spionaggio e di ripetute violazioni dello spazio aereo del Paese.

Rémi Carayol si sofferma inoltre sulla morte di un bambino di 8 anni, “seppellito in sordina”, e sul “massacro di Bounti” (3 gennaio 2021), nel corso del quale, sotto le bombe francesi, hanno perso la vita diciannove civili che assistevano a un matrimonio, secondo fonti locali e un rapporto delle Nazioni unite. Tragedie che hanno macchiato l’immagine della Francia ma che la sinistra al potere, da Hollande a Macron, non ha mai riconosciuto.

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