«Vai in chiesa, taglia teste». Ma l’orrenda morte di padre Hamel poteva essere evitata

Chiusa l'inchiesta sull'attentato nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, guidato con ferocia da un noto estremista dell'Isis in Siria. Che la Francia poteva fermare e ha colpevolmente ignorato

Il settimanale francese La Vie pubblica i documenti dell’inchiesta sull’attentato islamico di Saint-Étienne-du-Rouvray del 2016, quando venne sgozzato padre Jacques Hamel

L’orrenda morte di padre Hamel, sgozzato cinque anni fa sull’altare della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, poteva essere evitata. Quella del lupo solitario, dei terroristi che vanno “radicalizzandosi” da soli navigando su internet, quella dei piani improvvisati o eseguiti con mezzi di fortuna, non è che una dannata favoletta, buona solo per non parlare delle responsabilità – enormi – della macchina della giustizia francese. A cinque anni dall’attentato sappiamo che l’operazione, abilmente e spietatamente pianificata dall’Isis per uccidere l’anziano sacerdote francese, poteva essere fermata.

La terribile inchiesta di La Vie

«I “soldati del califfato” di Daesh sono guidati con precisione o rispondono a slogan e schemi messi in atto dall’organizzazione terroristica. L’attentato del 26 luglio 2016 alla chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray (Seine-Maritime), durante il quale Jacques Hamel fu massacrato e un fedele rimase gravemente ferito, non fa eccezione a questa regola». È un grande dossier quello realizzato dal settimanale francese La Vie che ha pubblicato documenti provenienti dal fascicolo d’indagine sull’attentato condotta dal giudice antiterrorismo Emmanuelle Robinson, raccogliendo testimonianze fra membri della polizia e dei servizi segreti.

Kassim ordina l’attentato dalla Siria

«Premeditazione, riflessione, organizzazione, rete: nessun elemento è stato lasciato al caso». Il piano è stato magistralmente orchestrato da Rachid Kassim, nato a Roanne da padre yemenita e madre algerina, noto alla Direzione generale della sicurezza interna (Dgsi, il servizio di polizia antiterrorismo) come responsabile dell’identificazione di persone radicalizzate sul suolo francese, del reclutamento, dell’indottrinamento e della guida a distanza degli attentati. È stato lui, partito per la Siria e arruolato nel 2015 nelle file di Daesh a ordinare ai diciannovenni Adel Kermiche e Abdel-Malik Petitjean di eseguire l’attacco nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray.

Il drone su Mosul

I due sono stati uccisi dalla polizia, Kassim è stato accusato di “complicità in omicidio” e rinviato al processo che inizierà il prossimo 14 febbraio davanti alla Corte d’assise speciale di Parigi. Avrebbe rischiato l’ergastolo ma probabilmente non sconterà mai la sua pena: fonti confermano a La Vie che sarebbe stato ucciso su espressa richiesta dei servizi segreti francesi dall’attacco di un drone americano il 27 luglio 2017 in Iraq, nei pressi di Mosul. Come ha spiegato un ex agente della Dgsi che si occupava di seguire i movimenti del terrorista:

«Non è mai facile ordinare, e tanto meno eseguire, l’eliminazione mirata di un terrorista nella zona iracheno-siriana, soprattutto perché l’attacco non deve provocare la morte di civili».

La mente dei massacri di Francia

Ma nel fascicolo d’inchiesta visionato da La Vie c’è di più: Kassim non è stato solo il promotore dell’attentato costato la vita a padre Hamel. È lui la mente del massacro di Magnanville (Yvelines) del 13 giugno 2016, quando due poliziotti, marito e moglie, furono trucidati da Larossi Abballa nella loro casa davanti al figlioletto di 3 anni. Ed è anche l’ideatore del piano per far esplodere un’auto piena di bombole di gas vicino a Notre-Dame, il 4 settembre 2016.

Attentato fallito: arrestate le cinque donne fedeli all’Isis che avevano imbottito la Peugeot 607 pronta a esplodere. Tempi ve ne aveva parlato qui, raccontando come una di loro, Sarah Hervouët, fosse stata legata sentimentalmente sia all’attentatore di Magnanville sia ad Adel Kermiche, lo sgozzatore di padre Hamel. C’è ancora Kassim dietro queste unioni combinate tra terroristi: la donna è stata arrestata per il tentato omicidio di un poliziotto nel 2019.

Morti Kassim, Kermiche e Petitjean, sul banco degli imputati siederanno solo Farid Khelil, Yassine Sebaihia e Jean-Philippe Steven Jean-Louis. Dovranno rispondere di “associazione criminale terroristica” con i due autori dell’attentato a Saint-Étienne-du-Rouvray, di essere a conoscenza dei dettagli del progetto, o addirittura di esservi stati associati.

«L’attacco poteva essere evitato»

«Questo attacco poteva essere completamente evitato», insiste Méhana Mouhou, avvocato di Guy Coponet, un parrocchiano anch’egli gravemente ferito nell’attentato che accusa autorità giudiziaria e servizi segreti di «errori di valutazione fatali». Basti analizzare la storia di Adel Kermiche, arrestato il 23 marzo 2015 a Monaco di Baviera, mentre cercava di raggiungere la Siria. Scrive La Vie:

«Rimpatriato in Francia fu incriminato per “associazione a delinquere terroristica”, posto sotto controllo giudiziario e lasciato libero. Una libertà di cui approfitta per tentare, ancora una volta, di realizzare il califfato di Daesh».

Il gip crede alle bugie di Kermiche

Intercettato in Turchia, Kermiche è stato rimandato in Francia, nuovamente incriminato e rinviato a giudizio il 22 maggio 2015. Dalla finestra della sua cella lancia appelli al proselitismo e alla preghiera, minacciando di morte il suo supervisore. Perché viene allora scarcerato il 22 marzo 2016?

«Il gip gli crede quando afferma di aver “preso coscienza dei suoi errori”. Teme anche gli effetti dell’incarcerazione, poiché il detenuto presenta “pensieri suicidi”. “Risultato, ci fidiamo di lui e lo liberiamo sulla sua unica buona parola!”».

Padre Hamel sgozzato sull’altare

Il 17 luglio posta una foto sul suo canale Telegram, spiegando ai suoi adepti che sta facendo “taqqya”, cioè usando la tecnica islamica della “dissimulazione” mentre si trova agli arresti domiciliari in casa dei genitori con un braccialetto elettronico. Il 13 luglio il Servizio di integrazione e libertà vigilata del carcere (Spip) propone di spostare a intervalli di 15 giorni i “controlli” settimanali del terrorista.

Il 26 luglio il rapporto semestrale del Spip parla di Kermiche come di un “musulmano praticante” che non dimostra ideologie estremiste. Lo stesso giorno il ragazzo e il suo complice fanno irruzione nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, prendono in ostaggio i fedeli presenti alla Messa delle 9.30 e sgozzano padre Hamel e un fedele che resterà a lungo in bilico tra la vita e la morte. Il terrorista ha scrupolosamente rispettato le ingiunzioni del tribunale che gli aveva dato il permesso di uscire tra le 8 e le 12 del mattino.

Inascoltata la madre del terrorista

C’è poi un altro fatto, inquietante: per tre volte sua madre, Aldjia Nassera, si era recata alla stazione di polizia e ai servizi della prefettura per avvisarli della deriva e del rischio che suo figlio agisse per fare qualcosa di terribile. Scrive il giudice Robinson nel fascicolo d’indagine:

«è accertato che Adel Kermiche ha continuato ad essere molto attivo nella jihadosfera e a intrattenere numerosi rapporti con soggetti anche radicalizzati, in particolare sui social network , tramite il suo canale Telegram “Haqq-Wad-Dalil” (Truth and Proof) sul quale trasmette messaggi dai contenuti particolarmente radicali».

Nessuno ordina le intercettazioni

Ma – e qui arriviamo all’errore più clamoroso e drammatico – nessuno, né la polizia né il gip, ha disposto l’intercettazione delle comunicazioni informatiche di Kermiche. Le sue innumerevoli conversazioni “radicalizzate” con Kassim e Petitjean sono state rinvenute dall’antiterrorismo solo dopo l’omicidio di padre Hamel. Alla Dgsi si sono trincerati dietro la giustificazione: mancanza di personale e ostacoli tecnici alla decrittazione di chat su Telegram.

«Vai in chiesa, tagli due o tre teste»

Ma un servizio di intelligence straniero intercettava le telefonate di Kassim e un pool di agenti era riuscito ad infiltrarsi nel suo canale Telegram. Le informazioni bastavano. La Vie ha pubblicato gli agghiaccianti scambi, dalla scelta simbolica del luogo da colpire (dalla discoteca alla sinagoga alla chiesa), alla registrazione del messaggio di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi; dalla “copertura mediatica” assicurata da Kassim post attacco al modus operandi della strage.

«Prendi un coltello, vai in chiesa, fai una carneficina, tagli anche due o tre teste, ed è finita» scriveva Kermiche a un suo contatto prima di uccidere padre Hamel. «Nulla ha impedito che questo scenario si avverasse – scrive il giudice Robinson concludendo il suo ordine di accusa – Il sangue è sgorgato».

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