Francia. «I centri di deradicalizzazione sono un assoluto fallimento»

Esther Benbassa guida la commissione che valuta l'esperimento del governo Hollande: «È pieno di principianti allo sbaraglio. Gli ospiti dei centri vengono arrestati prima di partire per la Siria!»

«Ad oggi la deradicalizzazione in Francia è un vero fallimento». Sono le parole rilasciate a tutti i giornali francesi dalla senatrice Esther Benbassa, che insieme a Catherine Troendlé guida dall’anno scorso una commissione del Senato per valutare l’esperienza dei centri di deradicalizzazione. Questi sono stati istituiti dal governo Hollande nel 2014 per fare prevenzione ed impedire a giovani musulmani di diventare jihadisti.

L’UNICA “CURATA”. Secondo Benbassa «principianti allo sbaraglio» hanno drenato ingenti risorse dallo Stato per aprire centri inutili, se non dannosi. Il primo bersaglio della senatrice è Dounia Bouzar, antropologa francese di origini algerini, autrice di libri contro la radicalizzazione islamica e famosa per aver ingaggiato nel suo centro Farid Benyettou, amico dei fratelli Kouachi (attentatori di Charlie Hebdo), che avrebbe abbandonato il jihadismo dopo cinque anni di carcere. Ha dichiarato Benbassa: «Bouzar ha goduto di un finanziamento pubblico di 930 mila euro. Ma i suoi libri non sono abbastanza convincenti per offrire un “modello di deradicalizzazione”. Lei sostiene di aver deradicalizzato molte giovani donne ma l’unica che ha mostrato a tutti i media alla fine è partita per la Siria».

ALTRI FALLIMENTI. Fallimentare è stata anche l’esperienza di Sonia Imloul (di cui tempi.it ha già parlato qui) a Seine-Saint-Denis, «il presidente di Unismed, che interverrà in tutto il sud della Francia, fa discorsi incoerenti. Mentre per quanto riguarda Afvt, abbiamo scoperto che per il servizio ricorre a una società esterna». C’è poi il problemi dei “centri di reinserimento e di cittadinanza”, collegati a quelli di deradicalizzazione. Ad oggi c’è n’è solo uno aperto in tutto il paese, quello di Beaumont-en-Véron, e tutti i giornali ne hanno parlato perché uno dei suoi pochissimi ospiti è stato fermato «mentre si apprestava a partire per la Siria». Oggi il centro è deserto. Ecco dunque le conclusioni di Benbassa: «L’iniziativa del governo è un fiasco. L’intenzione era buona ma questa politica è stata messa in piedi troppo frettolosamente per rassicurare la popolazione. L’obiettivo era giusto, ma ci vogliono degli esperti, dei professionisti rigorosi».

«SENSO DELLA VITA». Secondo il filosofo “infrequentabile” Alain de Benoist, recentemente intervistato anche da Tempi, c’è un motivo di fondo per cui questi progetti falliscono: «[Il governo] vuole far credere alla gente che la radicalizzazione sia una specie di malattia dello spirito, che bisogna curare come tale. Così ci si occupa dei sintomi e non delle cause. Anche l’Unione Sovietica internava i dissidenti negli ospedali psichiatrici». A cosa serve fare corsi di «convivenza, di dialogo, di valori repubblicani a chi vuole decapitare il suo prossimo?».
Continua de Benoist: «Il problema è il senso della vita. Noi abbiamo perso di vista la dimensione antropologica del religioso. La nostra epoca si rifiuta di ammettere che i jihadisti si considerano dei credenti e individuando nella morte la peggiore di tutte le cose non capiscono come possano uccidere coloro che considerano i loro nemici. Come ha scritto di recente Pierre-André Taguieff, “per i jihadisti morire come un martire dona pieno senso alla vita. È questo che l’Occidente edonista non riesce più a comprendere. Davanti alle forti convinzioni religiose dei jihadisti, i ‘valori’ universali secolarizzati non servono a niente. Nessuno è pronto a morire per la laicità!”».

Foto Ansa

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