La Francia sta diventando il giardino europeo del Marocco

Dopo il Qatar anche il paese di Re Mohammed VI va alla "conquista" di Parigi. Spionaggio, lobbying, infiltrazioni nei gangli dello Stato. Un dossier del settimanale Marianne

Il presidente francese Emmanuel Macron con il re del Marocco Mohammed VI, Tangeri, Morocco, 15 novembre 2018 (Ansa)

Parigi. Nel 2014, un’inchiesta intitolata “Une France sous influence” aprì il vaso di Pandora sulle liaisons dangereuses tra il Qatar e la Francia, sul modo in cui il paese del Golfo aveva trasformato Parigi nel suo giardino europeo, a colpi di finanziamenti nelle banlieue multietniche dove l’islam politico ha preso il controllo, e ingressi nelle grandi aziende francesi, dal lusso all’editoria (Lagardère), passando per lo sport (Paris Saint-Germain) e l’hôtellerie.

Negli anni, la presenza del Qatar, favorita dall’ex presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, ha continuato a rafforzarsi, anche grazie agli inchini dell’attuale inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron. Ma c’è un altro paese che utilizza la Francia come porta d’ingresso per curare i suoi interessi in Europa e influenzare l’opinione pubblica occidentale: il Marocco di Re Mohammed VI.

Rabat sfrutta Parigi

Un dossier del settimanale Marianne, firmato dalla stessa giornalista investigativa che ha curato il libro Une France sous influence, Vanessa Ratignier, ha rivelato fino a che punto Rabat stia sfruttando Parigi e muovendo le sue pedine fino ai piani alti della République grazie ad aggressive attività di spionaggio, lobbying e infiltrazione.

L’ultimo affaire ha coinvolto uno degli anchorman della televisione pubblica francese, Rachid M’Barki, di origini marocchine. Giornalista a BfmTv, M’Barki, oggi allontanato dal canale all-news, ha trasmesso una serie di servizi, non convalidati dai suoi superiori, che difendevano la posizione del Marocco in delicate questioni geopolitiche. Come il caso di Dakhla, città del Sahara occidentale ed ex colonia spagnola, territorio classificato non-autonomo dalle Nazioni unite, al quale Rabat vorrebbe imporre la sua sovranità per motivi strategici ed economici.

Durante un servizio diffuso nell’estate del 2022 su BfmTv, si è parlato apertamente di “Sahara marocchino”. «Il Sahara occidentale costituisce la pietra angolare della diplomazia marocchina, l’alfa e l’omega di tutti i suoi tentativi di ingerenza e di influenza. Il regno rivendica la sovranità su queste terre ricche di fosfati (il 70 per cento delle risorse mondiali) e sui mari pescosi di questa regione», spiega Marianne.

Macron intercettato

C’è poi il dossier “Qatargate”, che, nonostante la denominazione, come ricorda Marianne, è scoppiato dopo alcuni sospetti di ingerenza e di corruzione da parte del Marocco. «Rabat è il punto di partenza delle investigazioni lanciate dai servizi segreti belgi che ora sono tra le mani della giustizia, la quale sta conducendo un’inchiesta per corruzione. La questione: il regno marocchino ha corrotto dei deputati per far votare a Bruxelles delle leggi a suo favore?», scrive il settimanale parigino.

Lo scandalo Pegasus, dal nome del software di spionaggio sviluppato dalla società israeliana Nso e utilizzato da diversi paesi, tra cui il Marocco, ha portato a galla l’altra “abitudine” di Rabat: le intercettazioni. Tramite Pegasus, nel 2019, il Marocco avrebbe intercettato le conversazioni del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e di altri quattordici ministri per ricavare informazioni sensibili, ma anche di persone giudicate ostili agli interessi del Marocco, dunque da sorvegliare per contrastare meglio.

Una crisi profonda

«I servizi segreti marocchini si sono sempre comportati male in Francia», ha dichiarato a Marianne un agente dell’intelligence francese, prima di aggiungere: «Non hanno alcun pudore». La forza del Marocco nei confronti della Francia risiede anche nel “ricatto” in materia di immigrazione e anti terrorismo (i servizi segreti marocchini sono tra i più preparati e reattivi in materia di contrasto al jihadismo: nel 2015, non a caso, fu una soffiata dell’intelligence di Rabat ad aiutare i francesi a individuare Abdelhamid Abaaoud, il coordinatore degli attentati del Bataclan).

Il regno di Mohammed VI ha la gestione di due dei più importanti flussi verso l’Europa: quello dell’emigrazione e quello del traffico di cannabis. E l’apertura e la chiusura di questi due rubinetti hanno contribuito a creare negli ultimi tempi parecchi attriti tra Parigi e Rabat. Lo scorso 19 gennaio, una risoluzione del Parlamento europeo, dietro cui ci sarebbero le manovre della Francia di Macron, ha esortato «le autorità marocchine a rispettare la libertà dei media e a garantire processi equi ai giornalisti imprigionati».

L’attacco frontale ha fatto urlare gli alti funzionari del Marocco, che hanno accusato il “deep state francese” di aver orchestrato la mossa contro Rabat (tra questi, anche il presidente della commissione mista Marocco-Ue Lahcen Haddad). E Re Mohammed VI ha deciso di richiamare in patria l’ambasciatore marocchino, senza nominare un successore. Per lo storico specialista di Maghreb Pierre Vermeren, «non c’era una crisi così profonda dai tempi del sequestro di Mehdi Ben Barka nel 1965, fatto che aveva provocato una rottura delle relazioni per quattro anni».

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