Falsi abusi su minori: un caso anche a Como?

Un imprenditore è stato condannato in via definitiva per abusi sulla figlia, ma molte cose non tornano

Il 30 ottobre è cominciata l’udienza preliminare dell’inchiesta “Angeli e demoni” sugli affidi illeciti di bambini a Bibbiano e in Val d’Enza. L’indagine ha aperto uno squarcio sui metodi inquisitori spesso utilizzati per valutare i presunti casi di abusi sessuali su minori. Un anno fa, Fanpage pose l’attenzione su diversi casi avvenuti a Salerno in cui i bambini sarebbero stati plagiati e costretti a confessare abusi sessuali inesistenti e strappati così alle proprie famiglie di origine. Negli ultimi mesi, su altri organi di informazione sono invece state rievocate diverse vicende del passato incentrate su presunti abusi su minori, poi terminate con clamorose assoluzioni (dai “Diavoli della Bassa Modenese” a Rignano Flaminio). Analoghe preoccupazioni sembrano ora riguardare la zona del comasco, in Lombardia. A lanciare l’allarme è stata Avvenire, con un articolo di Luciano Moia pubblicato domenica scorsa.  

Alcuni anni fa, nel 2002, a Como un uomo (Renato Sterio) fu condannato in via definitiva per abusi sessuali sulla figlia minore, sulla base delle accuse della moglie e della suocera. Trascorse tre anni e dieci mesi in carcere prima di essere assolto nel processo di revisione: non c’era stato alcun abuso.

Il caso di Como

Lo stesso scenario sembra ripresentarsi oggi a distanza di anni, sempre a Como, dove un imprenditore è stato condannato in via definitiva per abusi sulla figlia di soli due anni, sulla base, anche qui, delle accuse rivoltegli dalla moglie (dalla quale si stava separando) e dalla suocera. A rendere l’episodio ancora più assurdo è il fatto che lo psicologo che ha svolto la perizia sulla bambina, sostenendo la compatibilità con la presenza di abusi sessuali, è stato sanzionato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia per aver usato – proprio in quella vicenda – un metodo non riconosciuto dalla comunità scientifica.

Lo psicologo, infatti, non solo ha posto alla piccola domande manipolatorie che le linee guida dell’ordine considerano ad alto rischio, ma non si è preoccupato neanche di videoregistrare la seduta decisiva, quella in cui si è convinto che l’abuso fosse avvenuto. Sulla base di questo fragile impianto accusatorio l’uomo (che nel frattempo non ha più potuto incontrare la figlia) nel 2015 è stato condannato in via definitiva a sette anni e sei mesi di reclusione. Tuttavia, in seguito alla sanzione dell’Ordine degli psicologi nei confronti del perito, i legali dell’uomo hanno chiesto un processo di revisione.

Un’altra vicenda

La Corte d’appello di Brescia ha rigettato per due volte la richiesta, nonostante la Cassazione avesse censurato già una prima volta la decisione dei giudici, imponendo di valutare le nuove prove avanzate dai legali dell’uomo. Il 27 gennaio 2021 la Cassazione sarà chiamata di nuovo a pronunciarsi sulla legittimità della decisione presa dai magistrati bresciani.

Nel frattempo, come se non bastasse, un terzo caso analogo è emerso negli ultimi giorni sempre a Como. Un padre di 45 anni condannato in primo grado per abusi a otto anni e mezzo di reclusione è infatti stato assolto dalla corte d’appello di Milano. Anche in questo caso il giudice d’appello ha criticato il perito scelto dal pm per non aver utilizzato nell’ascolto della bambina i metodi della Carta di Noto, che appunto escludono domande suggestive, toni drammatizzati, manipolazioni e impongono rispetto dei tempi e della spontaneità dei piccoli.

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