«Ero una femminista, poi mio figlio è stato accusato ingiustamente. Così ho capito che è un’ideologia orrenda»

La testimonianza di Judith Grossman, avvocato di New York, che ha salvato a fatica suo figlio da false accuse di molestie sessuali.

«Sono una femminista, ho fatto le barricate, abbonata al magazine Ms., ho bussato a molte porte per appoggiare candidati progressisti che si battevano per i diritti delle donne. Fino a un mese fa, avrei appoggiato senza se e senza ma l’articolo 9 e la legge contro la violenza sulle donne». Fino a un mese fa, cioè fino a quando non ha ricevuto dal figlio questo messaggio sul telefonino: «CHIAMAMI. URGENTE. ORA». A raccontare la sua storia è Judith Grossman, procuratore di New York, che ha scritto il 16 aprile un articolo sul Wall Street Journal per denunciare l’ideologia del femminismo, in cui lei ha sempre creduto, e gli «orrori» che ha generato. Tutto è cambiato quando il figlio, studente di un college nel New England, è stato accusato senza prove da una ex fidanzata di “molestie sessuali”, avvenute qualche anno prima.

ADDIO PRESUNZIONE DI INNOCENZA. Una volta accusato, il figlio è stato subito portato davanti a un tribunale. «Nessuna indagine preliminare è stata fatta nella scuola, (…) nessuno ha neanche preso in considerazione che le accuse potevano essere frutto della gelosia o del desiderio di vendetta della ex. Nessuno ha riconosciuto a mio figlio la presunzione di innocenza». Continua: «L’articolo 9, che dovrebbe garantire l’uguaglianza tra i sessi nei college, ha cancellato la presunzione di innocenza, che è la base della nostra giustizia. Nei nostri campus (…) nessuna “chiara e convincente” prova è richiesta per stabilire una persona colpevole di abuso sessuale». Ora, è sufficiente che l’accusa abbia «un margine di verosimiglianza tra il 50,1 e il 49,9 per cento».

DIFESA RITENUTA IRRILEVANTE. Così, al figlio è arrivata una lettera scritta «in modo molto vago» dai responsabili del campus con le accuse a lui rivolte, senza che fosse indicata alcuna prova della veridicità delle parole dell’ex fidanzata. Durante un’udienza di due ore al ragazzo è stata negata la possibilità di chiamare un avvocato e la sua difesa scritta è stata ritenuta «non rilevante». A quel punto, è arrivato l’sms sul cellulare di Grossman. «Fortunatamente – continua il procuratore di New York – io sono un avvocato e avevo i soldi per assistere mio figlio. Le accuse contro di lui sono alla fine cadute, (…) ma io mi rendo conto molto bene di quanto facilmente le cose sarebbero potute finire in modo diverso e quante volte finiscono effettivamente in modo diverso».

DIRITTI DELLE DONNE. E chi ha causato questo sistema malato? Il «politicamente corretto», che non garantisce a tutti un «giusto processo». «Io temo – conclude Grossman – che in questo clima l’obiettivo dei “diritti delle donne”, con il benestare delle misure del governo approvate a scopo politico e del tacito assenso degli amministratori dei college, rischi di trasformare le nostre più gloriose istituzioni in un groviglio di vipere pieno di ingiustizia. La sfrenata ortodossia femminista non è più una risposta quando si portano avanti politiche che vittimizzano le stesse vittime».

@LeoneGrotti

Exit mobile version