Erdogan e il terremoto

Il sisma che ha devastato la Turchia sud-orientale sarà decisivo per il futuro del presidente, evidenziando le debolezze del sistema o permettendogli di incarnare la figura di padre della patria ferita. E a maggio si vota

Il presidente turco Erdogan tra i terremotati di Kahramanmaras (foto Ansa)

Gelidi come le acque di un lago d’inverno, mentre ancora dalle macerie si levano i lamenti dei feriti che chiedono soccorso e le grida dei soccorritori concitati, gli analisti si interrogano sulle conseguenze politiche e geopolitiche della serie di scosse di terremoto che hanno devastato la Turchia sud-orientale e la Siria nord-occidentale. Al centro dell’attenzione sono soprattutto le prospettive del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, atteso da un’elezione presidenziale (e parlamentare) il prossimo 14 maggio.

Già si delineano due scuole di pensiero: quella che vede nel terremoto e nelle sue conseguenze l’imprevisto che metterà in evidenza le debolezze del sistema e porterà alla caduta di un presidente che appariva in grado di riconfermarsi, e quella che invece sostiene che la tragedia nazionale permetterà a Erdogan di occupare il palcoscenico e di incarnare la figura del padre della patria da qui al giorno delle elezioni, facilitando quindi la sua conferma al potere.

Il parallelo con il terremoto di Izmit del 1999

La prima scuola di pensiero istituisce un parallelo fra il terremoto di Izmit del 1999, che causò 17 mila morti, e quello del 6 febbraio scorso che ha avuto per epicentro Gaziantep. Il sisma di un quarto di secolo fa, che causò distruzioni catastrofiche in un’area fra il Mar di Marmara e il Mar Nero (molto più piccola di quella interessata dal recente evento) e fece vittime anche in alcuni quartieri di Istanbul, mostrò l’inefficienza e la paralisi burocratica dello stato laico kemalista. Gran parte dei soccorsi, in quell’occasione, furono condotti da team stranieri di 12 paesi. Gli italiani intervennero nei quartieri periferici di Istanbul che avevano registrato più di mille morti. Tre anni dopo, l’Akp di Erdogan partecipava per la prima volta alle elezioni e conquistava la maggioranza assoluta dei seggi col 34,3 per cento dei voti.

Il terremoto di Gazantiep, suggeriscono gli analisti, può essere il “momento Izmit” del regime neo-ottomano islamista di Erdogan: i ritardi nell’afflusso dei soccorsi soprattutto nella provincia di Hatay, l’evidenza che la speculazione edilizia da sempre favorita dai governi dell’Akp ha reso più letali gli effetti delle scosse, le inefficienze nella prevenzione riconducibili allo Stato centrale potrebbero diventare le frecce avvelenate che mettono fine all’ultraventennale regno di Erdogan.

Appena due settimane fa Lütfü Savaş il sindaco della città metropolitana di Hatay, ex affiliato all’Akp passato nel 2014 al Chp (il partito storico kemalista), aveva denunciato in tivù durante un’intervista l’impreparazione della regione nell’eventualità di un terremoto. A una domanda di una giornalista di TV2 se l’Hatay fosse pronto ad affrontare lo shock di un sisma, aveva testualmente risposto: «No, non lo siamo. Non saprei dire quante volte abbiamo scritto ai ministeri nazionali su questo punto, ma nella maggior parte dei casi non abbiamo avuto risposta».

La banda dei 5

Il boom edilizio è stato il motore dello sviluppo economico della Turchia, che ha tenuto una media di crescita del Pil del 5,5 per cento annuo nel ventennio erdoganiano; molte delle imprese che hanno beneficiato delle commesse pubbliche e del più generale laissez-faire in materia di costruzioni sono riconducibili al partito Akp o addirittura al clan familiare di Erdogan.

I partiti di opposizione e la voce popolare fanno spesso riferimento alla “banda dei cinque”, una cabala di imprenditori legati al potere che in questi anni hanno vinto un quarto di tutti gli appalti pubblici per la costruzione di infrastrutture. Si tratta di Mehmet Cengiz presidente della Cengiz Holding, Cemal Kalyoncu capo della Kalyon Construction, Naci Koloğlu della Kolin Construction, Nihat Özdemir della Limak Holding e Mehmet Nazif Günal presidente della MNG Holding. Più in generale, negli ultimi cinque anni il 50 per cento delle gare di appalto è stata vinta sempre dalle stesse 20 compagnie. Ora evidentemente i nodi vengono al pettine, insieme a quelli dell’alta inflazione e della svalutazione della moneta nazionale che dal 2018 affliggono l’economia turca.

Le norme sull’edilizia volute da Erdogan

La seconda scuola di pensiero, invece, ritiene che Erdogan cavalcherà la tragedia in modo tale da trarne vantaggi in vista dell’appuntamento elettorale: dimostrerà che lo stato turco di oggi, dopo venti anni di cura Akp, è più efficiente di quello dei tempi del premier Ecevit nel ‘99, e scaricherà su altri (autorità locali, partiti di opposizione, giornalisti mestatori) le responsabilità di ciò che è andato e andrà storto. Erdogan può vantare l’approvazione della legge che ha introdotto norme antisismiche per l’edilizia nel 2018: se le nuove norme non sono state applicate, la colpa è delle autorità locali o delle imprese che non le hanno rispettate; anche per quanto riguarda gli edifici costruiti prima della legge, la responsabilità dei crolli può essere scaricata sulle amministrazioni locali.

Gli utenti twitter pro-Erdogan fanno per esempio notare che quando era sindaco di Antiochia l’allora esponente dell’Akp Lütfü Savaş che oggi attacca il governo per mancata collaborazione nell’applicazione delle norme antisismiche, aveva concesso i permessi per la costruzione dei palazzi che sono crollati a causa del terremoto.
Erdogan sarebbe poi in grado di gestire il versante mediatico della crisi, come ha già dimostrato in passato, miscelando sapientemente strumenti repressivi e comunicazione istituzionale.

Erdogan contro le “fake news” sulla tragedia

Subito dopo aver dichiarato lo Stato di emergenza per tre mesi in 10 province colpite dal terremoto, ha convocato una conferenza stampa nel corso della quale ha annunciato lo stanziamento dell’equivalente di 5 miliardi di dollari per le sole operazioni di soccorso ai terremotati e l’invio di decine di migliaia di operatori della protezione civile, dei vigili del fuoco e di altri enti dello Stato nelle aree sinistrate. Contemporaneamente, ha minacciato provvedimenti severi contro tutti coloro che diffonderanno «notizie false e distorsioni» e cercheranno di causare «caos sociale» speculando sulla tragedia.

I turchi sanno che in questi casi il presidente non scherza: contemporaneamente alle dichiarazioni di Erdogan è stata avviata un’inchiesta penale a carico di due giornalisti che avevano denunciato presunti ritardi nelle operazioni di soccorso, a conferma che l’indipendenza della magistratura turca non è affatto a prova di bomba. Quella stessa magistratura che ha dato una grossa mano a Erdogan eliminando dalla competizione elettorale la personalità politica che più avrebbe potuto creare problemi al presidente uscente: il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, condannato a due anni e mezzo di prigione giusto nel dicembre scorso per vilipendio di pubblico ufficiale.

La macchina della propaganda

Le settimane a venire diranno quale delle due scuole di pensiero vedrà premiata la propria previsione. Per ora si può essere sicuri di una cosa: le immagini del post-terremoto che i canali ufficiali turchi diffonderanno a più non posso nelle prossime settimane mostreranno una nazione che si muove all’unisono per soccorrere i suoi figli più sventurati, assistita da un massiccio coordinamento statale. Già oggi scene di personale sanitario che scende da flotte di elicotteri, ordinate distese di tende, istantanee di salvataggi miracolosi dominano l’iconografia dei siti internet come quello dell’agenzia di stampa ufficiale Anadolu.

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