Emilia ricostruita dai carcerati? «Ottima idea. Bisogna organizzarsi»

Il direttore del carcere di Trieste Enrico Sbriglia approva la proposta del ministro Severino: «È fattibile, un piccolo salario e uno sconto sulla pena per i detenuti. Basta fare selezione e non ci saranno problemi».

Come tutte le proposte fuori dal coro, quella del ministro della Giustizia Paola Severino di impiegare detenuti non socialmente pericolosi o in semilibertà per la ricostruzione degli edifici e delle fabbriche danneggiati dal terremoto in Emilia sta suscitando reazioni e polemiche. «Il tema del lavoro per i carcerati è fondamentale – commenta a tempi.it Enrico Sbriglia, attuale direttore del penitenziario di Trieste -. Attraverso il lavoro si offre al detenuto una maggiore dignità e qualunque iniziativa vada verso la promozione del lavoro per i carcerati è condivisibile».

Chi lavora nella giustizia e nelle carceri ha accolto bene la proposta. Ma la proposta può essere realizzata?
Per portare i detenuti in aree con difficoltà oggettive, come le aree terremotate, c’è bisogno di un’organizzazione che non si può inventare dall’oggi al domani. Bisogna selezionare, verificare le oggettive abilità e soprattutto creare una logistica capace di utilizzare queste risorse. Non dobbiamo pensare a una sorta di lavoro forzato, saremmo fuori strada, ma sono convinto che il ministro Severino non intendesse questo.

Quali potrebbero essere i problemi concreti?
Portare detenuti nelle aree terremotate per ricostruire significa preoccuparsi dei luoghi dove dovranno pernottare, lavarsi e mangiare. Per non parlare delle cure mediche necessarie. Bisognerà garantire una sfera di diritti: assicurazione contro gli infortuni, un minimo di preparazione professionale, sicurezza sul posto di lavoro, cose che richiedono un minimo di tempistica organizzativa. E poi, ovviamente, ci vuole il personale che dovrà vigilare.

Non ricadrà tutto sulle spalle del personale di sorveglianza?
Bisogna superare la classica visione del sorvegliante e del sorvegliato. Qui non si parla solo di aiuto alle zone terremotate, questo sarebbe un modo di concepire lo strumento penitenziario in termini diversi. Tutte le pene finiscono e una volta esaurito il debito con la giustizia si torna da dove si è venuti: le persone tornano sul territorio e gli enti locali hanno bisogno di reintegrarli insieme alle associazioni dei volontari che operano già nelle carceri. Una proposta così non farebbe che anticipare la reintegrazione nella società. Non possiamo pensare che chi commette un reato debba sparire.

I detenuti verrebbero pagati?
È impossibile che il ministro voglia sfruttarli in nero. Vorrei precisare che chi ha un ruolo politico, anche se questo è un governo tecnico, ha l’onere di indicare dei percorsi, delle possibili finalità. La manodopera detenuta non è gratuita. È ragionevole immaginare che invece di un trattamento salariale pieno si pensi a forme di compensazione morale, come uno sconto della pena. Guardiamo la proposta dal lato del detenuto: se invece di rimanere in cella 24 ore su 24, potesse fare qualcosa di utile, guadagnando qualcosa in termini di denaro e di sconto della pena, accetterebbe di sicuro.

I Comuni colpiti dal terremoto e la Lega sono scettici.
Se neanche le catastrofi naturali sono capaci di toccare le corde della coscienza credo che siamo messi proprio male. Però è ovvio che un’operazione del genere debba prevedere una selezione dei detenuti. Nessuno metterebbe mai un piromane vicino ad un bosco.

La proposta cadrà nel vuoto come spesso accade?
Noi custodiamo persone, non oggetti. In carcere si entra più per fatti banali che per reati gravissimi. Chi è stato condannato per abuso edilizio o per un furtarello tornerà libero tra poco. Questa proposta camminerà con le sue gambe se troverà qualcuno, tra i responsabili istituzionali, disposto a mettersi in gioco per concretizzarla. Come direttore del carcere di Trieste so che alcuni detenuti lavorano per la Provincia, per il Comune e fanno attività di manutenzione degli edifici, dei parchi, dei giardini. E lo fanno da anni senza i titoloni sui giornali e senza che nessuno mai si sia lamentato.

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