Amministrative: se al ballottaggio non si va a votare, potrebbe finire come con il referendum di Bologna

Se vanno in pochi alle urne, specie per il centrodestra, è inevitabile che primeggi una quota di meno assennati e più scalmanati. Così è successo a Bologna con la pur miserabile vittoria della A

Il voto delle amministrative del 25 e 26 maggio, innanzitutto grazie alla tenuta della sinistra, si può dire pragmaticamente sia stato utile per consolidare un governo che ha qualche nemico di troppo nel Pd e in diversi ambienti soprattutto internazionali che non lo amano perché frena una destabilizzazione dell’Italia in qualche sede – un po’ irresponsabile – oggi considerata opportuna. Lo sgonfiamento dei grillini, il mediocre risultato del Pdl hanno rassicurato in questo senso Enrico Letta e i vertici “democratici” che lo sorreggono e dato così un po’ di spazio all’esecutivo per intraprendere le riforme necessarie. Anche se, poi, è disperante vedere non solo Matteo Renzi ma tanti esponenti ex comunisti e dossettiani riprendere a tramare per far saltare quelle che appaiono forse le ultime chance di riforma dello Stato che oggi si offrono: tutto ciò appare un ottuso inseguire i propri interessi particolari senza comprendere che così si otterrà solo la rovina collettiva.

Fatta questa considerazione e premessa, sarebbe bene che al ballottaggio i candidati del centrodestra ottenessero un risultato migliore di quello raggiunto al primo turno. Anche perché nella diffusa delusione per la politica – che ha prodotto un’astensione troppo elevata finendo per colpire così pure la protesta più sfrenata – quel che matura è un certo radicalismo distruttore che provocherà nuovi danni alle nostre comunità. Se vanno in pochi a votare, è inevitabile che una certa quota di meno assennati e dunque più scalmanati primeggi. Così è successo a Bologna con la pur miserabile vittoria del referendum contro le scuole materne paritarie, nonostante che a partire dal sindaco parte importante della sinistra si fosse schierata per soluzioni razionali e di concordia cittadina. Potrebbe succedere, con il prevalere di candidati tipo Ignazio Marino, persino a Roma.

Non è facile comunque essere ottimisti: anche le amministrazioni locali che pure erano le più vicine e le più amate dai cittadini hanno perso molto del loro appeal. Il colpo finale l’ha dato l’arrogante centralismo del governo Monti incapace di modulare politicamente i suoi pur necessari interventi di rigore della spesa. Ma non è che l’ultimo episodio di un processo che riguarda la crisi dello Stato italiano in tutti i suoi principali ordinamenti: alle difficoltà evidenti e crescenti non si è risposto con una riforma organica ma solo con scelte parziali che per quel che riguarda le amministrazioni territoriali anche quando erano giuste – come l’elezione diretta dei sindaci o dei governatori – erano inadeguate a risolvere una crisi strutturale.

In questo contesto di smobilitazione popolare, la sinistra ha carte ben più favorevoli della destra sia per il suo consenso istituzionale (in tanti ambienti che pesano la destra è considerata impresentabile) sia per le caratteristiche della protesta disgregatrice che ha avuto un alto risultato alle politiche: nel grillismo – grazie alla crisi del nostro Stato e all’ultimo contributo dato dall’arroganza montiana – vi è sia una componente di sinistra sostanzialmente anticapitalista sia di destra essenzialmente antistatalista, ma mentre la componente anticapitalista ha vari legami con le liste di sinistra, quella di “destra” anche per la crisi del leghismo ha solo attitudini astensioniste.

Stavolta non basta resistere
Proprio perché non sarà facile rimontare la china, proprio perché si dovrà fare uno sforzo superiore a quello di “resistenza” prodottosi sia alle politiche con un buon risultato inaspettato per il centrodestra e quello altrettanto significativo del voto dei lombardi in difesa di una politica che aveva ben governato, proprio perché le condizioni oggettive sono assai difficili, è bene che chi ha consapevolezza della gravità del momento, si mobiliti e cerchi di determinare un risultato in controtendenza. Sapendo peraltro che questo è solo un momento di una partita più ampia che riguarda non solo una parte politica ma la nazione.

Comunque vadano i ballottaggi la posta in gioco principale resta quella della riforma dello Stato: ed è oggi ampio l’arco delle forze politiche e sociali consapevoli che l’Italia ha bisogno di assetti nelle forme di governo e legislative, e in quelle del governo del territorio, superando gli elementi ormai obsoleti della seconda parte della Costituzione, che le consentano di decidere insieme democraticamente e rapidamente, e di esser nel contempo presente in modo autorevole e autonomo nel contesto europeo e internazionale. Vi è dunque la possibilità, e vi è anche un’attesa da parte dei settori internazionali più responsabili, perché lo sforzo riformatore necessario – quello che consentirà poi una dialettica politica veramente libera e non disgregante – si manifesti. Questo è il vero obiettivo di questa fase a cui subordinare anche gli interessi di parte. E in questo contesto, fuori da borie di partito, va valutato come la tenuta del centrodestra al secondo turno (così come il prevalere della sinistra al primo) potrebbe essere particolarmente utile.

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