Economia, riforma dello Stato e della giustizia. Pacificazione. O si vota

L’idea di mettere un cerotto al quadro politico magari comprando qualche senatore del Pdl o dei grillini per vivacchiare provocherebbe il degrado della nostra tenuta democratica

L’Italia è a una stretta durissima. Sono entrati in contraddizione due princìpi di base di una democrazia: il dominio della legge e la difesa della sovranità popolare. Solo l’allocco non sa che vi possono essere contraddizioni tra “sacri” princìpi: si pensi al supremo valore della vita e alla guerre necessarie per difendere la nazione. I padri costituenti, anche se costretti dalla Guerra fredda ad accettare dal fascismo l’assetto corporativo che unificava giudici e pm, lo sapevano e con immunità allargate e amnistie facili definirono una via, certo un po’ primitiva, per gestire le contraddizioni tra “giustizia” e “sovranità popolare”. Questa è stata chiusa senza sostituirla nel 1992, precipitando così la crisi in corso dello Stato. Per qualche decennio la situazione pur deteriorata ha retto ma indebolendo così tanto la nostra sovranità nazionale che quando a fine 2009 tedeschi e americani (per certi versi divisi strategicamente ma convergenti tatticamente) hanno deciso di semplificare la governance italiana, lo hanno fatto senza problemi.

Oggi il quadro internazionale offre spazi di manovra ma pesano le fragilità politiche: la rozzezza del centrodestra e ancor di più la vacuità del centrosinistra. Guglielmo Epifani sembra una persona solo inutile, invece è anche dannosa: basta vedere come ha ridotto la Cgil. Rifiutandosi di cogliere le tragiche contraddizioni in atto, sostenendo che suo compito è solo obbedire alle leggi, scorda che suo dovere è anche fare le leggi. E innanzitutto per evitare drammi alla nazione. È evidente come delegittimare la pur sbrindellata giustizia italiana aiuti a deteriorare la situazione. Ma sono ancora più netti i guasti che sabotando la sovranità popolare si sono prodotti alla nostra nazione. Dopo la campagna di destabilizzazione di Silvio Berlusconi di fine 2009, dopo l’evanescente governo Monti, dopo le fragilità di Enrico Letta, l’Italia è stata ridotta all’inconsistenza. A parte il caso marò in India, non esistiamo in Medio Oriente, due nostre magnifiche imprese (Eni e Finmeccanica) sono perseguitate con complicità interne in tutto il mondo. Alle nostre rimostranze nell’Unione Berlino fa rispondere da qualche funzionario della Bundesbank. Siamo finiti sotto accusa perché non proteggevamo i perseguitati dal dittatore kazako: poi il “perseguitato” principe viene arrestato da Parigi e non vola una mosca. In una realtà globale dove parte rilevante dei nostri destini è decisa in sedi internazionali, contare meno non dico di tedeschi e francesi ma di spagnoli e polacchi, è catastrofico. Questo è l’orizzonte della nostra scena politica, da qui si deve partire. Cioè da come si rifonda una nuova sovranità italiana. Gli scenari prevedibili non sono incoraggianti ma vanno affrontati con realismo. L’idea di mettere un cerotto al quadro politico magari comprando qualche senatore del Pdl o dei grillini per vivacchiare, pur ispirata a logiche di emergenza comprensibili provocherebbe un nuovo forse decisivo degrado della nostra tenuta democratica.

L’unica via costruttiva è trovare il modo per garantire al centrodestra la libertà politica (sia pure all’interno di condanne definitive) per il suo leader, dando così la base per un rilancio di un’unità nazionale. Ma ciò richiede un riconoscimento del problema: affermare che l’unica questione è applicare la legge (trovando magari qualche espediente per tirare a campare) porta dritti nel baratro. Naturalmente anche questo esito in sé non basta, per rilanciare il governo ci vuole un programma preciso articolato su quattro punti: piattaforma economica, riforma dello Stato, riforma della giustizia, provvedimenti di pacificazione. Le forze sociali un po’ sperdute, un po’ opportuniste che ora s’infilano nelle contraddizioni in corso, dovrebbero aiutare a sostenere le forze politiche così fragili in campo contribuendo a definire una prospettiva – come ha fatto nell’autunno del 2012 Raffaele Bonanni sui temi della riforma costituzionale – e non tanto trucchetti per il giorno dopo.

Infine non può essere escluso un esito elettorale perché in democrazia il popolo è sempre la prima risorsa per trovare le vie di uscita. È importante che a un eventuale scontro elettorale si vada con la piena consapevolezza (e la compostezza corrispondente) che sono in gioco i destini della nostra democrazia. In particolare il centrodestra dovrebbe accanto ai suoi caratterizzanti temi economici, avanzare proposte di riforma dello Stato assai meditate e dovrebbe essere affiancato per garantire appunto il massimo di responsabilità e serietà da una lista per “la pacificazione e la salvezza nazionale” guidata da personalità autorevoli che allarghino il perimetro dello schieramento che ha partecipato alle elezioni del febbraio del 2013.

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