E ora il centrodestra si squaglierà? Si direbbe il contrario

Rassegna ragionata dal web su: il futuro di Forza Italia e della maggioranza pro governo Meloni senza il Cavaliere, Travaglio e lo squadrismo mediatico-giudiziario, la spartizione di Mediaset

I leader del centrodestra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini al Quirinale per le consultazioni dopo la vittoria alle urne, 21 ottobre 2022 (foto Ansa)

Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Secondo Travaglio, il fatto che giornali, media, colleghi, amici e anche avversari politici abbiano rispettato il dolore della famiglia e assicurato al Cav l’onore delle armi, si tratterebbe di una “santificazione” cui rispondere con una sorta di demonizzazione uguale e contraria. “Non ha fatto solo tante cose riprovevoli, ma ha anche sdoganato quei comportamenti”, ha detto Travaglio. “Ha proclamato che era giusto farlo e rivendicarlo, ha esaltato l’evasione fiscale alla festa della guardia di finanza. Sono drammi che gli sopravvivranno, una destra civile non l’avevamo con lui e non l’avremo neanche dopo di lui”».

In molti commenti si sottolinea il ruolo che Silvio Berlusconi ha avuto nel lanciare per primo il populismo in una nazione dell’Occidente contemporaneo. In realtà le scelte politiche del patron di Mediaset, non prive di elementi che frettolosamente si possono definire populisti, sono state la risposta a un’anomala tendenza italiana manifestatasi negli anni Ottanta ed esplosa negli anni Novanta: la nascita di uno squadrismo mediatico-giudiziario mirato a distruggere la personalità dell’avversario. L’Italia novecentesca ha vissuto molte fasi di violenza politica nazionale: dal fascismo alla guerra civile che ha accompagnato quella sacrosanta di liberazione dai nazisti, tensioni negli anni Cinquanta e Sessanta legate alla lunga guerra civile europea (1914 Prima Guerra mondiale-1991 scioglimento dell’Unione Sovietica) sfociate poi in violenze scatenate negli anni Settanta. Lo squadrismo mediatico-giudiziario però ha un tratto di novità rispetto ad analoghe vicende in altre nazioni economicamente avanzate ed è ben testimoniato dal comportamento di Marco Travaglio nel giorno della morte di Berlusconi.

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Su Huffington Post Italia Gaetano Quagliariello, intervistato da Federica Fantozzi, dice: «Il limite del berlusconismo è non aver consolidato il suo portato di novità. Il Cavaliere ha sempre fatto saltare il banco quando eravamo vicini a scrivere “la nuova regola” rispetto alla grammatica della Prima Repubblica».

Quagliariello, una persona che considero di particolare intelligenza e cultura, dice sempre cose interessanti. Ma non di rado fa scelte che non mi sembrano molto meditate. In un certo periodo per rimediare agli evidenti limiti politici del berlusconismo si è messo in testa di partecipare a un’avventura centrista che, facendo saltare l’unica innovazione politica italiana utile negli anni Novanta, cioè il bipolarismo, ha aperto a un commissariamento della democrazia italiana per oltre dieci anni. Spero che oggi riesca, invece, a dare una mano aiutando a completare lo spazio che nel centrodestra c’è per una forza pienamente insediata nella maggioranza meloniana, ma legata alle forze che nel Partito popolare europeo cercano un rapporto tra conservatori moderati e conservatori radicali.

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Su Dagospia si scrive: «L’attuale quadro politico potrebbe nei prossimi mesi saltare in aria, se il Cav dovesse definitivamente ritirarsi a vita privata o nella Casa del Signore (speriamo di no ovviamente)».

Dagospia ipotizza come la morte di Silvio Berlusconi potrebbe preparare una fase particolarmente burrascosa per la maggioranza del governo Meloni. È evidente come in Italia vi siano tendenze possenti di disgregazione della democrazia che si fondano su una straordinaria personalizzazione della partecipazione politica, molto spesso con poche radici morali e culturali, e alimentate di frequente da influenze straniere di tutti tipi (persino qatarine e colombiane) che danno vita a delle simil compagnie di ventura. Però la maggioranza Meloni e Forza Italia possono contare su diversi fattori che potrebbero consentire di stabilizzare la fase inevitabilmente drammatica del post-Berlusconi: da una parte c’è una manager come Marina Berlusconi d’intesa con un esperto navigatore come Gianni Letta, dall’altra Antonio Tajani ha un particolare legame con il leader dei popolari europei Manfred Weber (e adesso anche con l’olandese Mark Rutte) e con l’amministrazione Biden. Infine un centro alternativo a Giorgia Meloni è sempre più in crisi, anche perché non ha più la fiducia dei principali esponenti dei corpi intermedi della società. Insomma molte condizioni giocano a favore di un consolidamento e non di un disfacimento della maggioranza Meloni. Però le “condizioni” – come si sa – bisogna saperle sfruttare innanzi tutto bloccando disgregazioni e annessi personalismi.

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Su First online Vittoria Patanè scrive: «La successione riguarda dunque quel 61,2 per cento fino ad oggi in mano al Cavaliere che adesso andrà distribuito tra i figli. In cifre si tratta di una partecipazione che vale oltre 2 miliardi di euro. Silvio Berlusconi non ha mai detto pubblicamente quale avrebbe dovuto essere la ripartizione, né indicato quali saranno gli equilibri tra i due rami della famiglia dopo la sua morte. Sulla carta si aprono dunque diversi scenari che ruotano tutti attorno a una domanda: chi avrà in mano la maggioranza di Fininvest? Se l’ex presidente del Consiglio avesse deciso di dividere per cinque la sua quota, dando ad ogni figlio la stessa percentuale, Marina e Pier Silvio si ritroveranno sì con gli incarichi operativi più importanti, ma con il 19,9 per cento del capitale ciascuno e dunque – insieme – con una quota di Fininvest di poco inferiore al 40 per cento. Al contrario, gli altri tre avrebbero in mano il 58 per cento delle quote e dunque la maggioranza dell’azienda».

C’è poi un’altra partita decisiva, quella che riguarda una Mediaset esposta come tante grandi imprese italiane ai problemi posti dal carattere famigliare del nostro capitalismo, privo di grandi registi come la Mediobanca di Enrico Cuccia o l’Imi di un tempo. Abbiamo visto che cosa hanno fatto i Caprotti e i Del Vecchio per salvare il carattere nazionale delle loro imprese. Presto conosceremo quali scelte strategiche per la sua “creatura” televisiva Silvio Berlusconi ha impostato prima di lasciare la sua vita terrena.

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