Dossier – Verso la luce divina. I misteri di Caravaggio raccontati da un libro

Mistero e imperscrutabilità sono molto probabilmente gli aggettivi che meglio giustificano la curiosità, spesso morbosa, di un vasto pubblico, e non soltanto di studiosi e connoisseur d’arte, nei confronti di Caravaggio (1571 – 1610), la cui vita è stata costellata di alti e bassi, menzogne, falsi miti, ipotesi e rivelazioni. Di Michelangelo Merisi non si è mai detto tutto, e di biografie e approfondimenti sull’artista lombardo che fece fortuna a Roma prima di divenire un fuggiasco tra Malta e la Sicilia, e terminare la sua breve e intensa vita sulle spiagge di Porto Ercole, ne sono state scritte tante. Ma le informazioni che possiamo raccogliere sul maestro che fece della luce intensa che squarcia le ombre il suo marchio di fabbrica non sono mai troppe, soprattutto per gli amanti di segreti e misteri svelati dalle tele. A tal proposito è uscito da poche settimane, edito da Nomos Edizioni, il saggio di Giuseppe Fornari intitolato La verità di Caravaggio: di piacevole lettura e corredato da un corpus completo di immagini a colori e in bianco e nero, il libro ripercorre l’avventura umana ed artistica del protagonista, sfatando alcuni luoghi comuni come quello del “realismo a tutti i costi” e della “indecorosità” nei confronti dei soggetti sacri, frutto, invece, di un sentimento cristiano così dirompente da sortire l’effetto contrario: quello del rifiuto.

Ecco che i dettagli simbolici ci vengono cronologicamente svelati, a partire dalla fase “pre-caravaggesca” di cui sono un pregevole esempio il Bacco (1596-98) degli Uffizi e la Canestra di frutta (1597-99) dell’Ambrosiana, dove i frutti troppo maturi e scuriti dal marciume, le foglie macchiate e bucherellate, e il vino – eucaristico – che Bacco ci porge, ci fanno riflettere sulla caducità dell’uomo, la cui a salvezza è preannunciata da quella luce, adesso diffusa, che diverrà più violenta nelle opere successive. Ma prima di lasciarsi avvolgere dalla lezione Michelangiolesca che apprenderà a Roma, Caravaggio si lascia sedurre – soprattutto da un punto di vista di rappresentazione storica e terrestre – da due pittori veneziani: Tiziano e Tintoretto. Il primo, attraverso il dipinto  Incoronazione di Spine (oggi presso la Alte Pinakothek di Monaco, ma all’epoca custodito nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano) gli impartisce una lezione sulla <<violenza sofferta, che si trasforma nell’unica vera azione capace di innalzare l’uomo a Dio>>, che Merisi mette in pratica nella Incoronazione di spine (1603 ca.) del Kunsthistorisches Museum di Vienna e nella Flagellazione del Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Dal secondo apprende l’arte del movimento e della composizione plastica e contrastiva e dell'”antipsicologismo”: l’interiorità dei soggetti non va ricercata chissà dove, ma sta nel loro hic et nunc.

Ma una volta spalancate le porte della città eterna, ecco che gli ingredienti accumulati nel periodo della sua formazione vengono amalgamati a fondo, producendo quel risultato straordinario che ci incanta da mezzo millennio. Due degli elementi più importanti che Caravaggio matura grazie alle opere di Buonarroti sono il Cristo corrucciato che non guarda mai l’osservatore e la figura mediatrice della Madonna, entrambi presenti nel Giudizio Universale della Cappella Sistina. Il primo ritornerà in una delle ultime opere del maestro, la Cattura di Cristo della National Gallery of Ireland di Dublino; l’apparizione mariana come simbolo dell’intercessione tra noi e Dio la ritroviamo, invece, in opere romane come la Madonna del serpe della Galleria Borghese e la Madonna dei Pellegrini della Chiesa di Sant’Agostino, e ne Le sette opere di misericordia della chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli. La Morte della Vergine (1601), oggi al Louvre di Parigi, è l’ultima grande composizione sacra del periodo romano, dove la morte ci viene raccontata con tutta la gamma umana di sentimenti, dalla mancanza al cordoglio, sentimenti che ritroveremo nel Seppellimento di Santa Lucia di Siracusa, dove si raggiunge l’apoteosi di una morte cristiana, con tanto di vescovo benedicente.

Di opere e dettagli da raccontare ce ne sarebbero ancora tanti, soprattutto in riferimento agli ultimi anni rocamboleschi che costrinsero l’artista a fuggire dai suoi aguzzini, portandosi dietro, in un viaggio di ritorno a Roma che non fu mai portato a termine, le ultime opere che continuano a sottolineare quanto l’esperienza del Male sia la prova più certa dell’esistenza del Bene, <<la resurrezione indistruttibile della sua Bellezza>>.

@ARTempi_

Exit mobile version