Dossier – Quando le opere precedono per fama il nome dell’artista e viceversa

Quante volte ci è capitato di riconoscere una fotografia, con la stessa facilità delle icone religiose della cristianità, ma non ricordarci il nome del fotografo che l’ha scattata, o addirittura, di non saperlo affatto? Questo è il caso che segna gli scatti di Philippe Halsman (Riga 1906 – NY 1979), protagonista fino al prossimo 11 maggio della mostra Astonish me! presso il Musée de l’Elisée di Losanna, e autore di quel famoso ritratto in studio del suo più fedele soggetto, Salvador Dalì, immortalato mentre salta assieme a un gatto, a un cavalletto e a un grande spruzzo d’acqua. Surreale, come solo ci si aspetterebbe dall’influenza di Dalì. Ma Halsman è anche l’autore di quel teschio realizzato con nudi femminili, di un primo piano di Albert Einstein scattato nella sua casa di Princeton nel New Jersey e di quel ritratto a tre quarti di Hitchcock con il sigaro in bocca e un uccello che sta per posarsi sopra. Sono immagini studiate, esito di lunghe sedute di posa, dove la firma dell’artista non è altro che quel ritmo interno e quella resa precisa della qualità dell’immagine che risponde all’idea di creare delle performance da fissare con la macchina fotografica.

E se le opere del suddetto autore precedono il suo nome in fatto di fama, nel caso del famoso Robert Capa – protagonista di una mostra presso l’International Centre for Photography di New York, si può parlare in termini inversi: di quest’ultimo, infatti, quasi si sconoscono le fotografie a colori realizzate una volta conclusa la carriera di corrispondente di guerra, e si ricordano soprattutto i reportage in bianco e nero. Definito da Stefan Lorant, fondatore della rivista The Picture Post, <<il più grande fotografo del mondo>>, Capa sperimenta solo nell’ultima parte della sua vita la pellicola a colori, per rispondere anche alle esigenze del mercato e delle riviste più patinate. Ma il suo approccio verso la fotografia a colori comincia già  nel 1938 mentre si trova in Cina per la guerra sinogiapponese. L’artista, infatti, chiese ad un amico della sua agenzia di New York di farsi spedire 12 rullini Kodachrome con le istruzioni: alla fine solo 4 di quelle immagini furono pubblicate sulla ben nota rivista Life, ma qualcosa si muoveva già nell’aria e la porta a collaborazioni con riviste come Holiday, Illustrated, Ladie’s home journal, che si contesero i suoi servizi realizzati tra Parigi, Roma, Hollywood, Israele e l’Unione Sovietica, era già ben spalancata.

@ARTempi_

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