Dopo 50 anni di ateismo di Stato, i paesi ex comunisti tornano alla fede

Secondo il Pew Research, nei paesi dell’ex Unione Sovietica i credenti superano l'80 per cento. Per la maggioranza è una questione di identità culturale

Un quarto di secolo dopo la fine del comunismo, la religione è tornata ad essere un importante fattore dell’identità individuale e nazionale in molti paesi dell’Europa centrale e orientale governati per cinquant’anni da regimi comunisti. Tranne che in un paese, atei e agnostici sono una quantità trascurabile, mentre coloro che credono nell’esistenza di Dio rappresentano l’86 per cento. Ma a beneficiare del cambiamento è stato soprattutto il cristianesimo ortodosso, che ha visto dappertutto aumentare le adesioni, mentre le percentuali di cattolici nei paesi dove erano maggioranza assoluta o relativa sono diminuite col passaggio dal sistema politico totalitario a quello democratico.

PROBLEMA DI IDENTITÀ. In quasi tutti i paesi, però, sia ortodossi che cattolici, la maggioranza dei credenti afferma che l’identità religiosa è più una questione di identità culturale e tradizione familiare che di fede personale. Fa eccezione la cattolica Polonia, l’unico grande paese dove una netta maggioranza di credenti afferma che l’identità religiosa è soprattutto una questione di fede personale. Fra gli ortodossi fanno eccezione piccoli paesi come Georgia e Moldova. Cosa dicono per la precisione i numeri prodotti dallo studio “Fede religiosa e appartenenza nazionale nell’Europa centrale e orientale” realizzato dal Pew Research Institute di Washington, nei quali è compresa anche la Grecia, unico fra i paesi analizzati a non essere mai stato governato da comunisti?

POCHI ATEI. Anzitutto che in nessuno dei paesi sottomessi a cinquant’anni di propaganda ateistica e antireligiosa la percentuale degli atei e degli agnostici sommati insieme supera il 10 per cento, tranne la Repubblica Ceca dove sono il 25 per cento. Nella Russia che per 70 anni ha insegnato nelle scuole l’ateismo scientifico, oggi gli atei e gli agnostici sommati insieme sono solo il 5 per cento della popolazione. Se ad atei ed agnostici si sommano anche coloro che affermano di non avere alcuna appartenenza religiosa, la Repubblica Ceca diventa l’unico paese dell’Europa centrale ed orientale dove i non religiosi superano i religiosi con un eclatante 72 per cento; segue l’Estonia col 45 per cento e poi molto staccate Ungheria e Lettonia col 21 per cento.

DIMINUISCONO I CATTOLICI. Quanto all’andamento delle appartenenze religiose, l’ascesa di quella ortodossa è stata molto forte nei paesi dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Patto di Varsavia: fra il 1991 e il 2015 coloro che si definiscono cristiani ortodossi sono passati dal 37 al 71 per cento in Russia, dal 59 al 75 per cento in Bulgaria, dal 39 al 78 per cento in Ucraina. Nello stesso tempo nei paesi a maggioranza cattolica assoluta o relativa i cattolici sono diminuiti: in Polonia sono scesi dal 96 all’87 per cento, in Lituania dall’88 al 75 per cento, in Ungheria dal 63 al 56 per cento, nella Repubblica Ceca dal 44 al 21 per cento. Questo significa che l’affiliazione cattolica è diminuita sia nei paesi dove l’identificazione religiosa era molto alta durante il comunismo che in quelli dove era bassa come in Unione Sovietica.

LA FEDE NON C’ENTRA? In tutti i paesi tranne che in Polonia i credenti affermano in maggioranza che la loro identità religiosa non è il risultato di una libera ricerca spirituale, ma qualcosa legato alla tradizione familiare e all’identità nazionale. È per sentirsi in sintonia con la storia e la cultura del proprio paese e della propria famiglia che scelgono di essere religiosi: quello che li spinge è un bisogno di appartenenza, non quello di aderire con la loro personale libertà a una fede religiosa. La pensano così il 76 per cento degli ungheresi, il 62 per cento dei lettoni, il 55 per cento degli armeni, bielorussi, bosniaci ed estoni, il 52 per cento dei russi. In tali paesi coloro che affermano che la fede è una questione soprattutto personale oscillano fra il 13 e il 35 per cento.
In Polonia, invece, il 50 per cento degli interrogati dichiara che la fede è una scelta personale e solo il 27 che è una questione di tradizione familiare o identità nazionale. Questi dati si rispecchiano in qualche modo in quelli relativi alla pratica religiosa: i cristiani dell’Est pregano poco e vanno poco in chiesa. Solo il 17 per cento dei russi, il 27 dei polacchi e dei serbi, il 44 per cento dei romeni pregano quotidianamente: negli Stati Uniti (dove la fede in Dio o in un ente spirituale superiore è statisticamente all’83 per cento, dunque di poco inferiore a quella dell’Europa orientale) dichiara di pregare ogni giorno il 55 per cento degli adulti.

PROMOZIONE STATALE DELLA RELIGIONE. Ancora più bassa la frequenza settimanale della Messa o della liturgia ortodossa: tolta la Polonia che fa corsa a sé col 41 per cento di partecipazione, seguono staccate Bosnia, Croazia e Romania col 24, mentre agli ultimi posti troviamo Russia, Serbia e Repubblica Ceca che registrano tutte 7 per cento. L’identità religiosa si esprime soprattutto accendendo candele nelle chiese, portando su di sé oggetti sacri, tenendo in casa icone e altre immagini sacre. Molte domande dell’inchiesta riguardano il rapporto fra la religione e la politica, e anche qui le risposte sono piuttosto sorprendenti. Nei paesi a maggioranza ortodossa la maggioranza assoluta o relativa delle persone è convinta che lo Stato dovrebbe favorire la diffusione della fede religiosa prevalente, in quelli cattolici questa posizione è sostenuta da minoranze abbastanza esigue tranne che in Lituania. Chiedono che lo Stato promuova la religione il 59 per cento degli armeni, il 52 per cento dei georgiani, il 46 per cento dei rumeni, il 42 per cento di russi, bielorussi e bulgari. In Polonia solo il 25 per cento aderisce a questa posizione, il 27 per cento in Croazia, il 28 in Ungheria e il 43 per cento in Lituania.

DEMOCRAZIA NON A TUTTI I COSTI. Per quanto riguarda la democrazia come sistema politico, non è amata dappertutto nello stesso modo, anzi: solo il 25 per cento dei serbi, il 31 per cento dei russi, il 36 per cento degli ucraini e il 39 per cento dei bulgari è convinto che sia sempre il miglior sistema politico. Per trovare democratici convinti bisogna andare nel paese dove la parola è nata: il 77 per cento dei greci è favorevole alla democrazia come il migliore di tutti i sistemi politici. Paesi che fanno parte da tempo dell’Unione Europea e dove la democrazia politica è stata restaurata dopo la fine del comunismo vedono maggioranze solo relative a favore della stessa: 49 per cento in Repubblica Ceca, 48 in Ungheria, 47 in Polonia. In questi paesi la maggioranza assoluta è rappresentata da coloro che ritengono che in alcune circostanze un governo non democratico è preferibile a un governo democratico sommati con quanti si dichiarano indifferenti al sistema politico vigente nel proprio paese.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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