Don Giussani, la memoria e la presenza

Un Fatto realmente accaduto che diventa vivibile qui e ora. Perché «nulla può sostituire Gesù. Non subentra al Cristo un insegnamento, ma subentra la Chiesa». Il cardinale Caffarra “recensisce” il libro di Ventorino sul carisma di Cl

Pubblichiamo la prefazione del cardinale di Bologna Carlo Caffarra al nuovo libro di Francesco Ventorino, Luigi Giussani. La virtù della fede (Marietti 1820), uscito in questi giorni nelle librerie, nel quale il teologo catanese propone «le “coordinate fondamentali” del contenuto di un carisma», quello di Comunione e Liberazione.

In una limpida e profonda pagina della Somma Teologica, s. Tommaso si chiede se nella Chiesa debba esserci una diversità di uffici, stati di vita, e quindi anche di carismi. Egli dà tre ragioni a favore della diversità.

La prima. La pienezza della grazia che è in Cristo, il Capo della Chiesa, si manifesta diffondendosi in modalità diverse.

La seconda. Varie e diverse sono le azioni necessarie al bene della Chiesa. È quindi necessario che alle azioni ecclesiali necessariamente molteplici e diversificate siano deputate diverse persone.

La terza. È la bellezza, lo splendore della Chiesa che esige questa diversificazione (cfr. 2, 2. q. 183, a. 2.).

Lo Spirito Santo ha fatto dono nel XX secolo alla Chiesa di una nuova forma associativa tra i fedeli, diversa per tanti aspetti dalle forme associative precedenti [si pensi alla Confraternita, al Terzo Ordine, per esemplificare]: i Movimenti. Essi nascono da un carisma che lo Spirito Santo ha donato ad un fedele, allo scopo di mostrare una nuova via di vivere la sequela di Cristo. Uno dei Movimenti che la Chiesa ha riconosciuto è “Comunione e Liberazione”, fondato sul carisma di don Luigi Giussani. È importante, anzi necessario, per ogni Movimento, dunque anche per Cl, custodire la memoria del carisma fondatore, perché sia vissuto fedelmente da chi in esso e mediante esso riconosce Gesù come il Figlio di Dio nostro redentore.

È questo il senso di questo nuovo libro di don Francesco Ventorino, in continuità con il suo precedente: Don Giussani. La virtù dell’amicizia. È una responsabilità ecclesiale – oltre e più ancora che la nobiltà di un debito di gratitudine – quella di coloro che hanno vissuto con il “fondatore carismatico” di un Movimento. La natura di questo carisma è di essere scritto, se così posso dire, nella persona del fondatore prima che nella sua parola, nella sua vita prima che nei libri scritti, alla fine neppure strettamente necessari (Francesco ha scritto pochissimo). Il carisma fondazionale diventa “corpo della Chiesa” attraverso la comunicazione di esperienza: così fu di uomini come Francesco, Domenico, Ignazio, Giovanni Bosco.

L’importanza dell’hodie

Nel libro citato don Ventorino ha raccontato la storia del suo incontro con don Giussani, dell’amicizia fedele che ne è stata generata. Ora, in questo, compie il passo successivo assolutamente necessario per custodire il carisma: presentare le coordinate fondamentali del contenuto del carisma ormai depositato nella Chiesa, la sua grammatica e sintassi, se così posso dire. Se infatti non si rispettano la sua grammatica e la sua sintassi, si possono ripetere le parole del suo vocabolario, ma il carisma si dilapida nella sua ricchezza. Chi legge dunque questo libro viene guidato dentro l’universo cristiano, anzi più precisamente dentro l’esperienza cristiana per la porta indicata dal carisma di don Giussani.

La costruzione del libro ha un’architettura perfetta, che tradisce anche i lunghi anni di insegnamento di don Ventorino, abituato dunque anche alla necessaria chiarezza educativa.

Nella Premessa del libro egli scrive: «Don Giussani ha avuto nella sua vita un intento fondamentale: mostrare la ragionevolezza del fatto cristiano, cioè la sua corrispondenza all’attesa più profonda che c’è nel cuore dell’uomo». Il punto di partenza non poteva non essere allora che la rigorosa determinazione del concetto di esperienza e la descrizione della dinamica della fede, dal momento che, come scrisse stupendamente s. Tommaso, «l’atto del credente non termina alla proposizione» cioè all’espressione linguistica con cui il credente professa la sua fede «ma alla realtà stessa» (2, 2. q. 1, a. 2, ad 2um).

Vengono poi indicati i due referenti fondanti, o meglio le due coordinate che fissano lo spazio della vita cristiana: la memoria e la presenza. La memoria è di un Fatto realmente accaduto nel passato, di un fatto storico; la presenza è il contenuto reale dell’istante vissuto dal credente. Simul stant – simul cadunt: la memoria senza la presenza riduce il cristianesimo a dottrina morale; la presenza senza la memoria ad una religione creata dall’uomo. La memoria non è quindi solo nel passato, perché il Fatto passato è presente; è memoria della presenza del Signore risorto.

Ecco perché il cristianesimo, la Chiesa possono essere identificati con la Liturgia, ma non per esempio con la teologia. La Liturgia è l’hodie del fatto passato. Sono stato testimone personale dell’importanza che don Giussani dava alla Liturgia. «Non subentra al Cristo un insegnamento, ma subentra la Chiesa. Nessuna sostituzione è possibile. La fede non aderisce a verità astratte ma alla realtà di una presenza viva… Nulla può sostituire Gesù, né l’istituzione della Chiesa, né la morale evangelica, né il dogma» (Divo Barsotti, Le apparizioni del Risorto, San Paolo, Milano 2005, p. 84).

Ogni capitolo mostra che il carisma di don Giussani trova nella grande tradizione teologica, sia di Agostino che di Tommaso, la sua radicazione. Nello stesso tempo, esso ha una capacità di ascolto della modernità non frequente. Non a caso fu un grande ammiratore e di Newman e di Leopardi: l’invocazione del cuore che ha trovato, indicato e pensato la via della Risposta; l’invocazione che non ha trovato, che alla fine ha pensato non esistesse alcuna Risposta, e ha maledetto «l’acerbo, indegno mistero delle cose». È dunque un libro che può dare un grande aiuto a vivere il prossimo Anno della Fede, perché ogni contatto con i carismi fondatori aiuta ad abbeverarci alle sorgenti della fede.

 

La devozione a Maria

Sono rimasto infine particolarmente affascinato dal fatto che l’ultimo capitolo sia dedicato al pensiero di don Giussani sulla Madre di Dio e alla sua missione nella proposta cristiana. Non fu per una consuetudine che don Giussani avesse una profondissima devozione alla Madonna, come appare dall’ultimo capitolo del libro. Non poteva non essere che così. Per quale ragione?

Un giorno chiesero a p. de Lubac – eravamo negli anni Settanta del secolo scorso – perché la devozione mariana era tanto “in crisi”. «Perché stiamo riducendo il cristianesimo ad un’astrazione» rispose il grande teologo «e le astrazioni non hanno bisogno di essere portate nove mesi nel grembo di una donna per essere generate». È [la devozione a] Maria che impedisce di ridurre il cristianesimo a pura dottrina e a noiosa morale.
*cardinale arcivescovo di Bologna

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