LA SORELLA JANE. A Dan, ultimo di 9 figli nati da padre poliziotto e madre infermiera, la passione per i pattini era stata trasmessa da una delle sorelle, Jane, pure lei ottima pattinatrice. Sul filo di quelle lame si era intessuto un rapporto unico tra i due: quando l’ultimogenito arrivò a 16 anni aveva già superato per bravura la sorella, e due anni dopo andò pure alle Olimpiadi di Sarajevo. Ma i giochi a cinque cerchi dove Dan avrebbe dovuto fare il leone erano quelli dell’88, a Calgary. La mattina della gara dei 500 metri Jansen fu tirato giù dal letto da una telefonata: era sua madre, le diceva che Jane, la sorella, stava per morire. La leucemia che l’aveva messa a letto si era aggravata, non sarebbe arrivata a sera: Dan se la fece passare al telefono, ma Jane non riusciva a parlare. Lui le promise la vittoria, ma quando calzò i pattini ai piedi fu informato che intanto la ragazza era morta. E lo shock tradì il suo equilibrio: alla prima curva cadde. Addio oro.
1994, FINALMENTE L’ORO. Come tale ci arrivò anche alle Olimpiadi del 1994, anche qui candidato per le gare su 500 e 1000 metri. La prima delle due sembrava confermare il triste trend che aveva segnato le altre prove olimpiche di Jansen: in finale fu soltanto ottavo. E lo sconforto salì, tanto che Dan non avrebbe voluto gareggiare nell’altra gara: stanco e deluso, perché cimentarsi in quella prova che non era neanche la distanza che più esaltava il suo scatto? Il suo allenatore lo spinse. Lui prese coraggio e si buttò in pista: sfidò, nella quarta accoppiata, il giapponese Inoue. A 800 metri era in ritardo, nell’ultimo giro tirò fuori la lingua e spinse più forte che mai. Vinse, con un tempo che nessuno avrebbe superato. E fu oro, finalmente. Lacrime agli occhi, Dan girò il palazzetto trionfante: nel cuore il pensiero e la dedica alla sorella finalmente onorata, in braccio la figlia di un anno. Di nome Jane, ovviamente.
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