Dan Jansen e un oro inseguito per tre Olimpiadi. In memoria di Jane

Verso Sochi 2014 - Il pattinatore americano perse la sorella poche ore prima della finale di Calgary 1988 e per 6 anni dovette rincorrere una medaglia che arrivò solo in quella gara dove partiva sfavorito

Dan non aveva paura del ghiaccio. Ci schizzava sopra come un forsennato: il corpo che si muove sinuoso sui pattini, braccia e gambe che danzano a ritmo per spingere la sua figura elegante il più veloce possibile, là dove le leggi di equilibrio ordinario non reggono, e chi pensa di farcela solo con l’istinto dei movimenti crolla. Dan si chiama in realtà Daniel e di cognome fa Jansen, del pattinaggio è stato l’eroe americano degli anni Ottanta e Novanta: rapido e scattante, il sorriso da buono e la faccia da playboy. Otto record mondiali sbriciolati in varie occasioni. La sua storia sportiva, però, si è corsa sul filo di un dolore indicibile, un lutto che rischiava di trasformare la carriera di un campione olimpico nel flop di una eterna promessa incompiuta.

LA SORELLA JANE. A Dan, ultimo di 9 figli nati da padre poliziotto e madre infermiera, la passione per i pattini era stata trasmessa da una delle sorelle, Jane, pure lei ottima pattinatrice. Sul filo di quelle lame si era intessuto un rapporto unico tra i due: quando l’ultimogenito arrivò a 16 anni aveva già superato per bravura la sorella, e due anni dopo andò pure alle Olimpiadi di Sarajevo. Ma i giochi a cinque cerchi dove Dan avrebbe dovuto fare il leone erano quelli dell’88, a Calgary. La mattina della gara dei 500 metri Jansen fu tirato giù dal letto da una telefonata: era sua madre, le diceva che Jane, la sorella, stava per morire. La leucemia che l’aveva messa a letto si era aggravata, non sarebbe arrivata a sera: Dan se la fece passare al telefono, ma Jane non riusciva a parlare. Lui le promise la vittoria, ma quando calzò i pattini ai piedi fu informato che intanto la ragazza era morta. E lo shock tradì il suo equilibrio: alla prima curva cadde. Addio oro.

LE CADUTE. Difficile sarebbe stato riprendersi da una tale delusione. Ci stava per riuscire quattro giorni dopo, nella gara dei 1000 metri. Partì e infranse il record di velocità, il ghiaccio stavolta pareva essergli amico. Ma ad un giro dal traguardo, il suo primato scivolò via, sgambettato ancora da quel lutto: e un’altra volta Dan fu fuori dal podio. A nulla servirono le onorificenze che il Comitato Olimpico americano gli offrì: a Jansen pesava aver perso la sorella, e il dramma era che lui non era potuto stare con lei. Quattro anni dopo ad Albertville i giochi lo tradirono un’altra volta: solo quarto nei 500 metri, addirittura 26esimo nei 1000. Questo sebbene nel frattempo continuasse a vincere nelle gare abituali, e i record di velocità lo proponessero ogni volta come il grande favorito.

1994, FINALMENTE L’ORO. Come tale ci arrivò anche alle Olimpiadi del 1994, anche qui candidato per le gare su 500 e 1000 metri. La prima delle due sembrava confermare il triste trend che aveva segnato le altre prove olimpiche di Jansen: in finale fu soltanto ottavo. E lo sconforto salì, tanto che Dan non avrebbe voluto gareggiare nell’altra gara: stanco e deluso, perché cimentarsi in quella prova che non era neanche la distanza che più esaltava il suo scatto? Il suo allenatore lo spinse. Lui prese coraggio e si buttò in pista: sfidò, nella quarta accoppiata, il giapponese Inoue. A 800 metri era in ritardo, nell’ultimo giro tirò fuori la lingua e spinse più forte che mai. Vinse, con un tempo che nessuno avrebbe superato. E fu oro, finalmente. Lacrime agli occhi, Dan girò il palazzetto trionfante: nel cuore il pensiero e la dedica alla sorella finalmente onorata, in braccio la figlia di un anno. Di nome Jane, ovviamente.

@LeleMichela

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