Così Cuba si è trasformata in un carcere a cielo aperto

Dopo mesi il regime ammette di avere incarcerato a luglio quasi 800 persone scese in strada a protestare. Ma i processi farsa continuano, mentre le ong denunciano altre violazioni dei diritti

Il 25 gennaio decine di esuli cubani a Miami sono scesi in strada per ricordare in una veglia le persone arrestate a Cuba (foto Ansa)

A Cuba 790 manifestanti, compresi 55 minori, sono in galera e stanno per essere processati con pene fino a 30 anni di carcere per “sedizione”. Dopo mesi di smentite, la dittatura castrista ha finalmente riconosciuto per la prima volta martedì scorso che sta perseguitando quasi 800 persone che erano scese in strada per protestare contro gli abusi del regime lo scorso 11 luglio, tra cui 55 di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Mentre i processi iniziati all’inizio 2022 continuano questa settimana a ritmo serrato, la dittatura dell’Avana ha anche rivelato che 25 minori di 16 anni hanno affrontato l’internamento in centri gestiti dal Ministero degli Interni, e che 28 detenuti tra i 16 e i 18 anni sono in carcere.

L’appello del “Centro per una Cuba Libera”

Il “Centro per una Cuba Libera” (CCL) ha esortato la comunità internazionale ad agire con forza a favore dei bambini e degli adolescenti cubani che sono «bersaglio della repressione e delle vessazioni del regime di Castro. È inaccettabile che il mondo rimanga in silenzio di fronte a questo oltraggio», ha affermato l’organizzazione umanitaria di fronte alle prime ammissioni del regime.

«Il regime di Castro ha sparato e imprigionato adolescenti sin dal suo inizio e i processi di oggi contro i minori a Cuba dimostrano la continuità di metodi repressivi eccessivi e brutali», spiega il CCL, che ricorda anche una comunicazione inviata dalla Commissione per i diritti umani dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) il 22 ottobre 1964 e indirizzata all’allora Ministro degli Affari Esteri di Cuba, Raúl Roa García. All’epoca, Roa García era stato messo alle strette sui casi di minori condannati dai tribunali cubani “senza alcuna considerazione della loro età e della loro immaturità fisica e mentale”, compresi alcuni che furono giustiziati.

Come ad esempio Rubén Acosta e Justo García, entrambi minori di 16 anni, che furono fucilati nel 1964 nella provincia di Matanzas con l’accusa di «sabotaggio contro le piantagioni di canna da zucchero». Per il “Centro per una Cuba libera” l’elenco degli «adolescenti incarcerati e condannati a Cuba oggi, come in passato, è parziale perché un gran numero di casi è sconosciuto visto che le loro famiglie hanno il terrore a denunciarli».

I parenti non possono visitare i prigionieri

Al momento non esiste una cifra chiara delle persone arrestate il luglio scorso, ma il gruppo per i diritti umani “Justicia 11J”, che monitora i casi e cerca di contattare le famiglie, ha denunciato oltre 1.300 arresti violenti. L’ambasciata statunitense all’Avana ha criticato «le sentenze eccessive contro giovani pacifici e innocenti» e ha avvertito che «il regime non sarà in grado di schiacciare le richieste delle persone per un futuro migliore». Per il momento la sola certezza è che Cuba si è trasformata in un carcere a cielo aperto per la sua popolazione.

Ai parenti dei prigionieri, anche quando si tratta di bambini ingiustamente accusati, è vietato fare loro visita in carcere. Una di loro è Marta Perdomo, madre di Nadir e Jorge Martín Perdomo, il cui processo è iniziato cinque giorni fa a Quivicán, nella provincia di Mayabeque. «Qui è pieno di berretti rossi, di berretti neri, di agenti della Sicurezza di Stato e di polizia, come se stessero processando Bin Laden», si sfoga la donna con il sito online 14ymedio gestito dalla dissidente Yoani Sánchez, fuori dal tribunale, pochi istanti prima che un agente le strappi il cellulare dalle le mani.

Pene sproporzionate e mani legate

Marta è una delle tante madri coraggio cubane che hanno aderito all’iniziativa proposta da alcuni attivisti per realizzare proteste fuori dai tribunali del regime e trasmetterli poi sui social network per sostenere i prigionieri politici. «I miei figli sono innocenti, chiedo la loro libertà», grida in un video mentre batte su una pentola. «Jorge è accusato di “disprezzo aggravato” mentre Nadir di aggressione», ma si tratta di «accuse inventate», dice, per cui i due rischiano rispettivamente otto e dieci anni di carcere.

Marta sperava di vedere i suoi figli entrare nel tribunale, ma non è stato possibile. «Nessuno ha potuto vedere i ragazzi, neanche da lontano». La Procura generale della dittatura ha pubblicato una dichiarazione per giustificarsi, affermando che l’accusa di sedizione per i manifestanti – per cui alcuni rischiano fino a 30 anni – è di «attaccare lo Stato socialista». «Siamo devastati», ha dichiarato alla BBC Luis Aguilar, padre di Walnier Luis, un 21enne condannato a 23 anni di prigione solo per essere sceso in strada a protestare. «È una pena sproporzionata, abbiamo mani e piedi legati perché non c’è nessuno a cui appellarsi», ha detto l’uomo in lacrime.

Oltre 1.100 persone ridotte in schiavitù

E mentre continua lo scandalo di queste centinaia di processi illegali, numerose organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato lo stato cubano presso la Corte penale internazionale e le Nazioni Unite perché oltre 1.100 individui precedentemente ridotti in schiavitù dal regime in diversi settori di lavoro, soprattutto quello medico e quello della navigazione da crociera, hanno testimoniato gli abusi.

L’ong Prisoners Defenders, in collaborazione con il Centro per l’apertura e lo sviluppo dell’America Latina (CADAL) e l’Unione Patriottica di Cuba (UNPACU), la più grande organizzazione dissidente dell’isola, ha presentato la dettagliata denuncia, catalogando ben 1.111 casi di cittadini cubani che lo stato ha costretto a lavorare all’estero solo per confiscare poi loro la stragrande maggioranza degli stipendi.

Testimoni hanno denunciato oltre un migliaio di crimini contro i diritti umani come la confisca dei passaporti all’estero per impedire loro di lasciare le “missioni”, molestie sessuali diffuse, orari di lavoro estenuanti nonostante la mancanza di retribuzione e continue minacce contro le loro famiglie da parte dello stato.

In tutti i casi documentati, le persone sono state sottoposte a quella che è diventata nota come la “regola degli otto anni”, che vieta a chi abbandona una “missione” di entrare a Cuba per almeno 8 anni, perdendo tutte le loro proprietà sull’isola e venendo separati a forza dai legami con le loro famiglie, compresa la prole nei casi in cui gli schiavi lavoratori del regime abbiano lasciato all’Avana bambini piccoli. Il rapporto documenta ben 44.589 violazioni dei diritti umani punibili dal diritto internazionale ed elenca 82 paesi in cui si sono verificate tali violazioni, comprese nazioni distanti tra loro come Cina, Ucraina, Malta, Messico, Vietnam e, naturalmente, anche l’Italia.

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