Professionismo dell’educazione? Non fateci ridere

La farsa del concorso per il reclutamento del personale docente rivela lo stato in cui riversa la scuola. I prof sono rassegnati e se c'è ancora un barlume di speranza è solo perché in tanti si danno da fare per rispondere alla loro "vocazione"

Nell’articolo intitolato “Se questa è una prof“, per la sua rubrica del lunedì sul Corriere della Sera, Alessandro D’Avenia riporta una lettera da far rabbrividire. Sono le parole di una professoressa di scienze al liceo, precaria, che, alle prese come tanti in questi mesi con il concorso per il reclutamento del personale docente, è finita a dover svolgere sulla propria pelle i complessi calcoli richiesti dalle 50 domande dell’esame, poiché le era concesso di utilizzare una penna, ma non il foglio. L’acme delle assurdità di un concorso grottesco. E dire che avendone banditi appena 3 in 22 anni, la politica ne avrebbe avuto di tempo per lavorarci.

Ma, commenta D’Avenia, «nel nostro sistema scolastico, manca proprio la “politica”: sono assenti la tecnica (test inadeguato a reclutare un professionista dell’educazione) e la cura (costrizione a scrivere sul proprio corpo). L’agire politico è sostituito da quello burocratico. Un modo di governare corpi e anime inaccettabile a cui non ci ribelliamo forse perché non riusciamo più a farlo, presi come siamo dalla sopravvivenza».

Da Excel al Sahel

Come non sposare le parole di D’Avenia? Nella speranza che la risonanza da lui garantita alla pelle tatuata di quell’aspirante professoressa di scienze serva almeno a scuotere le coscienze, leggendolo sono nate in me due riflessioni.

La prima: se il test è «inadeguato a reclutare un professionista dell’educazione», è perché chi ha ideato questo test tutto pensa di dover reclutare fuorché un professionista dell’educazione. L’esame consiste infatti in uno scritto al sapor d’enciclopedia (50 domande a crocette più o meno su qualsiasi cosa, dall’uso di Excel al terziario nel Sahel) e, se passata la prima fase, in un orale in cui presentare un argomento estratto ventiquattr’ore prima, per dimostrare non di capirci qualcosa né di saper parlare a dei ragazzi (che non son lì ad ascoltare), ma di essere all’ultimo grido quanto a didattichese anglosassone (è come un gioco in cui chi pronuncia la parola “lezione frontale” perde).

Venderemo cara la pellaccia

La disparità di trattamento nelle aule degli scritti e nelle commissioni dell’esame orale poi è varia come i prodotti al mercato e assurda come le scene di Ionesco, e pare, e fa quasi ridere, che stia passando meno gente di quella per cui erano stati banditi i (pochissimi) posti.

Dov’è lo spazio per il “professionismo dell’educazione” in questa storia? Lo scopo è unicamente di evitare scomode spese allo Stato, che tanto si sa arrabattare (malissimo) coi supplenti da decenni, dal momento che un insegnante di ruolo costa di più.

È talmente conclamato che dell’educazione non gliene importi nulla che quasi mi commuovo quando leggo D’Avenia brandire ancora questo termine, come un Orlando sul punto di crepare a Roncisvalle che soffia imperterrito nel suo corno. Ma, caro Alessandro, venderemo cara la pellaccia.

Una casa sporca

E questo mi conduce alla seconda osservazione. Quando dice che a questo sistema «non ci ribelliamo forse perché non riusciamo più a farlo, presi come siamo dalla sopravvivenza», ha ragione. La scuola marcisce da decenni, ma fra i candidati che ho incontrato alle prove d’esame il sentimento prevalente era la rassegnazione.

Giovani talora brillanti, ancora non del tutto disillusi sul bene dei ragazzi, disposti a farsi centinaia di chilometri per tentare l’esame, ridotti a prostrarsi alle scemenze di ogni governo che passa, interessato in buona sostanza solo a farci usare di più la lavagna elettronica in aula spacciandola per il Messia che la scuola attendeva.

Mi tornano in mente i sacri 883: «Come mai, ma chi sarai, per fare questo a me?». A me, che certo non per il lauto compenso mi getto mia sponte nel tritacarne, bensì per vocazione, perché una volta sentii Dante dire al suo maestro Brunetto che gli insegnò come l’uom s’etterna!

Ma è destino di ogni appartamento riempirsi di schifo se non si riordina giorno dopo giorno. Se la scuola italiana resta in piedi è perché, in attesa che arrivi la ditta di pulizie, molti inquilini si danno da fare, studenti e prof, a pulire il proprio metro quadro. Basterà?

Foto Ansa

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