Con Sportweek su e giù per l’Italia del Giro, tra qualche luogo comune e planimetrie preziosissime

SW Sportweek Speciale Giro

 

Magari pretende pure che ce la beviamo, il campione del mondo Mark Cavendish, quando dichiara che il Giro è «casa mia», «la corsa che amo, si sente ovunque la passione di voi italiani», e che «il Tour è lavoro, il Giro è amore», «il Tour è pressione, il Giro è passione».
D’altronde per quattro anni ha vissuto in Italia, tempo più che sufficiente a scoprire che in Italia ci sono «buon cibo» e «grandi paesaggi», e che inoltre qualsiasi cosa facciano gli italiani lo fanno «col cuore» anche se si macchiano di una certa «mancanza di puntualità» e «voglia di far casino».

Cose inaudite, mai nessuno straniero si era espresso sull’Italia con altrettanta perspicacia. Cinque intere pagine di intervista talmente infarcite di luoghi comuni sull’anglosassone il quale in Italia scopre una vita vacanziera ma più vera, non immemori dell’imbarazzante Mangia prega ama, lasciano intravvedere la mano massiccia di un ufficio stampa propenso a vendere l’ulteriore luogo comune del grande ciclista straniero che viene a battagliare in Italia non perché animato da pur legittimi intenti bellicosi ma perché ama il nostro Paese, che sfreccia a 50 all’ora sulle nostre strade perché incantato dal panorama, e che se fosse per lui il Tour de France non lo correrebbe nemmeno e preferirebbe trascorrere luglio… dove? Ma a Firenze, ovvio, una meta così originale e fuori dagli schemi che il lettore quasi resta tramortito dalla sorpresa quando scopre che si tratta del posto preferito dall’uomo-jet.

Molto più vera l’immediatamente successiva intervista a Ivan Basso, altrettante pagine ma domande serrate e utili a scoprire qualcosa che già non si sappia (dovrebbe essere lo scopo di ogni intervista): ad esempio che durante allenamenti e ricognizioni il campione indigeno si mette in tasca «un kit della sopravvivenza: 10 euro e un telefono solo da bici, perché il numero lo conoscono soltanto Micaela e i commissari antidoping».

Questioni di lana caprina, però, poiché in questo caso le interviste sono mero contorno: l’importante è che la Gazzetta abbia deciso di tornare a stampare un apposito fascicolo di guida per la corsa che il giornale stesso organizza. Lo aveva fatto per decenni ma poi si era incartata in ingarbugliate soluzioni di compromesso, infilando la guida al Giro all’interno di numeri di Sportweek che tutt’attorno parlavano di altro, e senza nemmeno che le pagine che illustravano le tre settimane successive fossero staccabili, di modo tale che uno fosse costretto a porsi la questione se rinunciare alla guida e gettare Sportweek a fine settimana come sempre oppure tenersi in giro per casa uno Sportweek i cui contenuti invecchiavano alla velocità della luce per il solo vantaggio di conservare la guida.

Ora il problema non si pone: uno compra la Gazzetta al giorno in cui il Giro inizia, assieme riceve il classico Sportweek di ogni sabato, assieme riceve anche la guida alla corsa rosa e quindi può regolarsi com’è più normale, ossia gettare la Gazzetta (quotidiano) il mattino dopo, Sportweek (settimanale) il sabato successivo e utilizzare la guida per seguire il Giro per tre settimane dopo le quali decidere se conservarla a sempiterna memoria insieme a tutte quelle accumulate negli anni precedenti. Anzi, proprio perché le si conserva, è inevitabile, per chi ha vissuto abbastanza a lungo da ricordarselo, paragonare la guida di Sportweek al quaderno nero col quale la Gazzetta soleva introdurre il Giro una ventina d’anni fa.

Dovete sapere che per seguire il Giro servono tre cose: la visualizzazione delle maglie delle squadre partecipanti, che cambiano ogni anno (sia le squadre sia, cosa più complessa, le maglie); una planimetria ossia una mappa che permetta di sapere da dove la corsa passi di preciso in un determinato giorno; un’altimetria ovvero una sezione del suolo che mostri il profilo di ogni punto della tappa, se pianura o salita o discesa. Bene, queste tre cose ci sono e costituiscono la quasi totalità della guida; benissimo, queste tre cose sono reinterpretate in senso migliorativo rispetto a com’erano vent’anni fa.
Per una volta tanto non facciamo né gli schizzinosi né i passatisti: le planimetrie sono talmente ampie da poter essere usate per le lezioni di geografia in terza elementare (non è una battuta) e le altimetrie sono ben dettagliate con i metri sul livello del mare di praticamente tutti i comuni attraversati dalla corsa. Quanto alle squadre, vent’anni fa noi ragazzini dovevamo accontentarci della riproduzione disegnata della maglia su un omino stilizzato sempre uguale o su fondo bianco. Ora che siamo diventati adulti invece possiamo rallegrarci del piccolo capolavoro grafico che occupa sei pagine della guida, con le maglie di tutte le squadre – fotografate, non disegnate, quale più grande quale più piccola – presentate mentre sembrano saltare di gioia da ogni angolo della pagina, vuote e a maniche aperte come se dentro ci fosse un ciclista invisibile che non vediamo ma che a priori ci sta simpatico perché, caso credo unico nel panorama degli sport, il ciclismo è una faccenda in cui non si tifa contro nessuno (nemmeno contro Cavendish) perché tutti sudano, si sostiene tutti perché in realtà non si tifa tanto per Basso o per Cunego quanto per l’idea in sé di uomo in bicicletta, equilibrio perfetto di democrazia e meritocrazia.

Su quasi tutte le planimetrie si ritrova una vecchia fotina, un po’ piccola in verità, che riprende un momento in cui il Giro passava proprio da lì. Si tratta del residuo della parte più preziosa del vecchio quaderno nero che ci spiegava la corsa vent’anni fa, ricostruendone la storia ma limitatamente agli anni che finivano con la stessa cifra dell’anno in corso: il 1912 (squadra Atala), il ’22 (Brunero), il ’32 (Pesenti) e così via. Si potrebbe eliminare la fotina dalle planimetrie (disturba) e ripristinare quest’almanacco dei decenni, magari al posto delle ridondanti interviste.

Sotto le altimetrie intanto si trovano cinque caselle, nelle quali segnare giorno per giorno i nomi del vincitore di tappa, della maglia rosa e dei detentori delle altre maglie per le classifiche speciali. Questo è molto utile e c’era già vent’anni or sono; però vent’anni fa c’erano anche cinque righe (talvolta addirittura otto) nelle quali segnare i primi arrivati nella tappa e i primi in classifica, con relativi tempi e distacchi. Ora queste righe necessarie non ci sono più e l’appassionato che voglia seguire il Giro ai confini con l’autismo è costretto a scrivere a mano libera negli spazi lasciati bianchi dalle altimetrie: con le tappe di pianura si va a nozze, ma quando arrivano le montagne è difficilissimo districarsi fra le cime, bisogna scrivere tutto storto o a saliscendi.

A parte questo, nella guida di SW al Giro c’è tutto quel che serve, poche robe come abbiamo visto ma il ciclismo è lo sport dei semplici. Anzi, una cosa manca a motivo dei tempi di stampa: non c’è l’elenco dei partecipanti con relativo numero di gara, che viene sancito ufficialmente due giorni prima della partenza quando è troppo tardi per inserirlo nella guida. Lo si trova a pagina 41 della Gazzetta dello stesso giorno, e si può tranquillamente strapparlo e infilarlo nella guida; da qui la visione di schiere di ciclòpati intenti a rovistare nella spazzatura pregando che la carta rosa non sia già finita al macero.

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