Con la Moratti si schiera “il nuovo che avanza” o si rinnovano gli avanzi?

Matteo Renzi e Letizia Moratti (foto Ansa)

Su Startmag Tullio Fazzolari scrive: «Ma la pace non c’era già più da anni. Era purtroppo soltanto un’illusione in cui faceva piacere (e, a volte, anche comodo) credere. Nel suo nuovo libro Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica, descrive senza omissioni e senza reticenze la crescente instabilità che minaccia il mondo a partire dal crollo del muro di Berlino. Era la fine della cosiddetta Guerra fredda. Che invece, ironia della sorte, era proprio l’unica pace possibile. Il crollo dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Patto di Varsavia sono stati considerati con molta presunzione come una grande vittoria dell’Occidente. O addirittura come l’inizio di una nuova epoca: quella della pax americana in cui gli Stati Uniti realizzano la storica e non troppo nascosta ambizione di essere il gendarme del mondo. In realtà, come spiega Caracciolo, stavano saltando tutti gli equilibri che in qualche modo avevano garantito trent’anni di pace. O, quanto meno, avevano tenuto la guerra lontano dall’Europa già martoriata dal secondo conflitto mondiale. E non era un risultato da poco. Dalla fine della Guerra fredda, invece, ci sono stati i conflitti interni alla ex Jugoslavia, i massacri in Bosnia, le due guerre del Golfo, la lotta al terrorismo internazionale, l’Afghanistan, la Cecenia, il caos in Libia e guerriglie in molti paesi dell’Africa».

La pace nasce solo sulla base di accordi tra grandi potenze con trattati che li garantiscono. Perché non si è provveduto ad agire in questo senso dopo la fine dell’Unione Sovietica? C’è chi ha pensato che la Russia potesse scomparire senza creare nuovi scompensi e squilibri internazionali? Si ritiene che i grandi trattati che determinano lunghe stagioni di pace (dal trattato di Westafalia al congresso di Vienna alla conferenza di Yalta) possano essere efficaci solo dopo grandi conflitti? È una regola che deve valere nell’epoca del pericolo nucleare?

* * *

Su Dagospia si riprende un articolo di Open dove si scrive: «L’ex cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto di aver cercato di convincere gli alleati europei della necessità di trovare un formato per dialogare con il presidente russo Vladimir Putin sull’Ucraina. Ma poi si è accorta di non avere la necessaria influenza. Merkel ha parlato in un’intervista pubblicata dal settimanale Der Spiegel. E ha spiegato che aver provato a convincere l’Europa perché pensava che il Protocollo di Minsk fosse diventato “obsoleto”. Il riferimento è agli accordi firmati nel 2014 da Russia, Ucraina, Donetsk e Lugansk con la benedizione dell’Osce. “L’accordo di Minsk era stato lasciato vuoto. Nell’estate del 2021, dopo che i presidenti Biden e Putin si erano incontrati, cercai di creare un nuovo formato di dibattito europeo indipendente con Putin e con Emmanuel Macron nel Consiglio dell’Ue”».

È evidente come contro la scelta militare del disperato imperialismo grande russo, l’unica risposta dell’Occidente non possa che essere quella di armare la resistenza ucraina. Ma prima di questa follia di Mosca, non era possibile definire accordi che contenessero la disperazione russa e insieme garantissero la libertà degli Stati che erano usciti dall’impero sovietico? La tattica imbrogliona di Angela Merkel tutta concentrata sull’accumulare vantaggi per la Germania senza curarsi di scelte strategiche, non è stata decisiva nel determinare le vicende che stiamo vivendo?

* * *

Su Formiche Marco Mayer scrive: «In Italia, invece, domina ancora l’ipocrisia. Nessuno parla della radicata penetrazione cinese e russa nel nostro paese. È vero che Giorgia Meloni al G20 di Bali, in Indonesia, ha posto il tema del riequilibrio della bilancia commerciale con il Dragone e che Valentino Valentini, viceministro delle Imprese e del Made in Italy, ha riconosciuto i peccati originari in campo energetico. A parte questi timidi accenni, ciò che domina la scena è il silenzio assordante delle forze politiche».

L’osservazione di Mayer sulla centralità della questione cinese nel definire la politica estera italiana è corretta. Mi pare invece bizzarra la tesi che in Italia il dibattito politico sulla politica estera e il ruolo di Pechino sarebbe assai meno esplicito che in Francia e Germania. Mayer ha ragione se si riferisce alla stampa: mentre sul Figaro e sul Monde, sulla Welt o sulla Süddeutsche Zeitung si trovano analisi e polemiche articolate, sui nostri quotidiani le “analisi” scarseggiano. Ma nella discussione politica c’è più chiarezza a Roma che a Parigi o a Berlino. Emmanuel Macron, senza una maggioranza parlamentare e con un ruolo internazionale francese in crisi, è costretto a destreggiarsi senza tanta trasparenza tra i filorussi lepeniani e i filocinesi melenchoniani. Mentre Olaf Scholz è sempre incerto tra vendere il porto d’Amburgo alla Cosco e salvare il suo compagno di partito Gerhard Schröder, e rispondere all’atlantismo liberal dei Grünen. E anche tra i popolari, mentre nella Cdu i pasticcioni merkelliani cedono agli atlantisti di Friedrich Merz, nella Csu l’atlantista Manfred Weber se la deve vedere con il governatore della Baviera Markus Söder, molto condizionato da un’industria Pechino-dipendente. In Italia, a parte qualche pasticcetto, la destra è ormai saldamente atlantista e tratta con la Cina d’intesa con Washington, mentre a sinistra si è messo in crisi il governo Draghi per non cedere ai filocinesi 5 stelle. Si dirà: ma poi il Pd ha sfilato con Giuseppe Conte. In questo caso, però, non si deve scambiare la confusione mentale di Enrico Lettino con la confusione politica dell’Italia.

* * *

Su Fanpage Fabrizio Capecelatro scrive: «C’era poi un’altra dello storico staff di Moratti, questa volta quando stava al ministero della Pubblica Istruzione: Valentina Aprea, proveniente da Forza Italia e all’epoca sottosegretario dell’attuale candidata del Terzo Polo. C’erano poi un po’ di transfughi: Gianmarco Senna, che ha da poco lasciato il gruppo consiliare della Lega per passare in quello del Terzo Polo, e Roberto Cenci, che ha lasciato il Movimento 5 stelle».

Aprea, Sensi, Cenci e poi anche Roberto Bernardelli, Manfredi Palmieri, naturalmente Mariastella Gelmini: Letizia e i suoi beneficati sono “il nuovo che avanza” o “gli avanzi che si rinnovano”?

Exit mobile version