Clima, anche la Cop25 è fallita. Dov’è la notizia?

Come le precedenti ventiquattro, anche l'ultima conferenza sul clima dell'Onu si è rivelata inutile. E i motivi del flop sono sempre gli stessi

Come le precedenti ventiquattro, anche la Cop25 è fallita e le ragioni sono sempre le stesse: gli investimenti richiesti per abbattere le emissioni di Co2 in pochi anni costano troppo, nessuno è davvero convinto dell’efficacia della soluzione per limitare il riscaldamento globale e non c’è certezza che tutti i partner mondiali rispetteranno gli impegni assunti.

PROMESSE, MILIARDI E CREDITI DI CARBONIO

A Madrid gli Stati avrebbero dovuto innalzare i target di riduzione delle emissioni di Co2 rispetto a quanto fatto in precedenza e avrebbero dovuto trasformare le promesse in impegni vincolanti. Arabia Saudita, Brasile, Australia e Stati Uniti si sono opposti in modo esplicito e tutti gli altri paesi, criticandoli con ipocrite dichiarazioni di facciata, hanno tirato un bel sospiro di sollievo.

I paesi africani in particolare hanno chiesto che diventi subito operativo un fondo da 100 miliardi all’anno che permetta alle economie più povere di svilupparsi in modo sostenibile. Ma gli Stati già sviluppati da un lato sono restii a immettere risorse in questo fondo, dall’altro si rifiutano di essere considerati legalmente responsabili di eventuali catastrofi climatiche quando ancora non c’è consenso scientifico sul tema.

Infine non è stato raggiunta alcuna intesa sull’articolo 6 degli Accordi di Parigi, che prevede meccanismi di compravendita dei “crediti di carbonio” per aiutare le imprese che sforano con le loro emissioni. Non è chiaro infatti chi possa vendere e comprare questi crediti o a quale prezzo. Tutto è rimandato alla Cop26 di Glasgow dove, se non cambierà l’approccio globale al problema, si avrà verosimilmente lo stesso risultato.

LO SCHIAFFO DI GRETA AL BUONSENSO

Per Repubblica l’ennesimo «flop del vertice Onu sul clima» è «uno schiaffo dei Grandi a Greta», ma sarebbe meglio dire che le pretese di Greta e compagni sono uno schiaffo per le popolazioni di 190 e passa Stati del mondo. Se i “Grandi” non riescono a trovare un accordo globale, infatti, è perché i governi non sono in grado di garantire che il taglio drastico delle emissioni di Co2 in pochi anni non distrugga il tessuto economici dei rispettivi paesi, provocando il licenziamento di decine di migliaia di persone. Come scrive Federico Rampini su Repubblica, «purtroppo, nessuno ancora è riuscito a dimostrare che la sostenibilità genera più occupazione e più reddito del capitalismo carbonico».

Ma non è solo questo. Negli ultimi anni, ad esempio, l’Unione Europea ha fatto importanti passi avanti sulla strada della decarbonizzazione e del taglio delle emissioni di Co2. Ma questi sforzi sono stati puntualmente vanificati da un paese come la Cina, che ha recentemente aumentato la potenza del proprio parco di centrali a carbone e a causa del rallentamento dell’economia ha tagliato verticalmente i sussidi allo sviluppo dell’energia rinnovabile. Chi garantisce ai paesi dell’Ue che dopo aver speso migliaia di miliardi per decarbonizzare completamente la propria economia entro il 2050, come proposto da Ursula von der Leyen, la Cina non aumenterà ancora le proprie emissioni vanificando gli sforzi fatti?

I SOGNI DELL’UE E L’INAFFIDABILITÀ DELLA CINA

In ballo non ci sono soltanto gli interessi della lobby del petrolio, semplificazione tanto cara a Greta & co., ma decine di migliaia di posti di lavoro. Lo stesso Emmanuel Macron, che ama spacciarsi per un presidente attento all’ambiente, ha dovuto abbandonare le tasse ambientali, cedendo ai gilet gialli che gridavano: «Tu ti preoccupi della fine del mondo, noi non sappiamo arrivare alla fine del mese».

La transizione a un sistema produttivo che utilizzi energia pulita è auspicabile, a prescindere dal fatto che serva davvero a contenere il riscaldamento globale, tema sul quale gli scienziati continuano ad avere molti dubbi. Ma questo processo non può che richiedere tempo. Gli appelli a «fare in fretta» degli ambientalisti di tutto il mondo sono irrealistici e non fanno che portare a un fallimento dietro l’altro delle conferenze climatiche dell’Onu.

IL MITO FALLIMENTARE DELLA DECRESCITA FELICE

Per diventare il primo continente neutrale climaticamente, come vorrebbe l’Ue, servono almeno seimila miliardi di euro entro il 2050. Ma Bruxelles pensa di istituire un fondo da appena 100 miliardi. È facile fare roboanti proclami senza mettere a disposizione le risorse necessarie. Il problema è sempre lo stesso: dove trovare i fondi per gli investimenti green senza allo stesso tempo rovinare la propria economia a vantaggio di competitor poco sensibili all’ambiente o trasformarsi in feroci protezionisti? Forse è giunto il momento di darsi obiettivi più realistici e di riconoscere che la decrescita felice non piace né conviene a nessuno.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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