Chi è Fabrizio Barca, che oggi fa il tecnico per fare domani il ministro di Bersani

Forse non indosserà la mitria di papa straniero del centrosinistra. Ma il profilo di Fabrizio Barca è sempre più congruente con quello dei tecnici che nel dopo Monti potrebbero traslocare armi e bagagli nei lidi attigui a quelli del Pd. Lo si poteva intuire già a novembre, quando gli fu ritagliato il ruolo di ministro (senza portafoglio) per la Coesione territoriale. Come a dire: tanti saluti alla Lega e al suo federalismo celodurista. Che ha lasciato il posto ad un “volemose bene” centralistico di cui il ministro si è fatto garante. D’altra parte, la storia di Barca lo rende l’uomo ideale per deludere l’elettorato leghista e ringalluzzire la sinistra solidaristica italiana. Professore a Parigi, a Stanford, al Mit e all’immancabile Bocconi montiana, prima di assidersi sullo scranno ministeriale Barca è stato il presidente del Comitato delle politiche territoriali dell’Ocse. Istanze, quelle territoriali, che ritiene di tutelare meglio con la coesione che non con il decentramento.

E se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, l’humus familiare di casa Barca è probabile che abbia contribuito non poco alla formazione delle idee del ministro. Almeno tanto quanto la sua eccellente formazione accademica. Fabrizio è infatti figlio di Luciano Barca, ex partigiano, difensore in Aula delle istanze del Pci per quasi trent’anni, fino alla svolta della Bolognina. Che non condivise, abbandonando la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto per ritirarsi a vita privata. Una lunga esperienza riassunta dalle intellettualmente vivaci e giornalisticamente gustose “Cronache dall’interno del vertice del Pci”, pubblicate in piena era berlusconiana.

Una storia forte della quale il ministro non ha ritenuto di battere ciglio allorché, ospite qualche settimana fa all’Infedele di Gad Lerner, fu appellato soavemente come “un tecnico di sinistra”. Barca non disdegna il ruolo che gli si sta cucendo addosso. Quello di riserva nobile del centrosinistra, pronto a scendere in campo in qualità di esperto d’area. E se le primarie tagliano le gambe di chi lo avrebbe voluto addirittura alla guida del cartello di Vasto, sono in molti coloro che lo descrivono come rientrante in Consiglio dei ministri nel caso Bersani conquistasse Palazzo Chigi.

Intanto il ministro continua nel suo oculato lavorio. Lo fa oggi in un’intervista concessa al La Stampa. Nella quale definisce i partiti come inabili a “parlare con i cittadini”. Cita Zygmunt Bauman definendo le organizzazione politiche “liquide”, e mette in chiaro chi potrebbe portare i pantaloni a casa Vasto: “Siamo stati messi lì proprio perché sul governo si scaricassero le responsabilità, finendo per accreditarci tutte le cose che non vanno e in qualche modo riconoscendoci quelle positive”. Così che si capisca chiaramente chi ha le palle per poter sostenere la battaglia sul fronte orientale del Palazzo.

@pietrosalvatori

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