Charlie Hebdo continua a fare infuriare i regimi islamici

Otto anni fa la strage islamista nella redazione del settimanale satirico. Oggi le minacce dall'Iran per il numero speciale contro i mullah

Parigi. In questi giorni, Charlie Hebdo, il celebre settimanale satirico francese, ha pubblicato un numero speciale per commemorare i suoi vignettisti assassinati il 7 gennaio 2015 da due terroristi islamici, i fratelli Kouachi, dedicandolo alle proteste delle iraniane e degli iraniani contro il regime dei mullah, alla loro lotta per la libertà: lo stesso valore cardine che ha animato la vita di Wolinski, Charb, Tignous e degli altri geni del disegno satirico d’oltralpe. Non a caso Riss (Laurent Saurisseau), il direttore di Charlie Hebdo, ha intitolato così il suo editoriale, “Il disegno satirico, guida suprema della libertà”, e ha deciso di pubblicare sulle pagine del suo giornale le vignette più originali su Ali Khamenei, la Guida suprema della Repubblica islamica, provenienti dal concorso internazionale che ha indetto a dicembre in segno di solidarietà con il popolo iraniano.

Il ministro degli Esteri iraniano contro Charlie Hebdo

«Disegnatori e vignettisti devono sostenere gli iraniani che lottano per la propria libertà, ridicolizzando questo leader religioso di un’altra epoca, e rispedendolo nella pattumiera della storia», recitava il testo del concorso, intitolato #MullahsGetOut (Mullah andatevene). Ma le 35 vignette selezionate, che «hanno il merito di aver sfidato l’autorità che la presunta Guida suprema afferma di rappresentare», secondo le parole di Riss, non sono affatto piaciute a Teheran. Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, ha affermato che l’Iran «non permetterà al governo francese di oltrepassare i limiti». «Hanno scelto una strada sbagliata. Di recente abbiamo imposto sanzioni a Charlie Hebdo. A questa mossa insultante e maleducata del periodico francese risponderemo in modo deciso ed efficace», ha aggiunto il capo della diplomazia iraniana.

Chiuso il centro studi francese in Iran

Dopo le minacce di rappresaglia da parte del regime dei mullah sono arrivati gli atti concreti. Mercoledì, Teheran ha convocato l’ambasciatore francese in Iran, Nicolas Roche, perché considera il governo di Parigi «responsabile di questo atto offensivo e ingiustificato» e perché «la Francia non ha il diritto di insultare ciò che è sacro per i paesi musulmani con il pretesto della libertà d’espressione», secondo le parole del portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani.

Giovedì, il regime di mullah ha inoltre deciso di chiudere il più antico e prestigioso centro di studi francese di tutto l’Iran, l’Institut français de recherche en Iran (Ifri), direttamente affiliato al ministero degli Esteri francese. «Il ministero mette fine alle attività dell’Institut français de recherche en Iran (Ifri) come prima atto (della risposta iraniana alle caricature di Charlie Hebdo, ndr)», si legge nel comunicato di Teheran.

Il precedente del 1993

Non è la prima volta che si verifica uno scontro tra Charlie Hebdo e l’Iran, come ricordato dallo stesso Riss nel suo editoriale. Nel 1993, Teheran aveva lanciato un concorso di caricature chiedendo ai vignettisti di sbeffeggiare Salman Rushdie, per «rappresentare la vera cospirazione che si nasconde dietro il suo romanzo blasfemo (“I versi satanici”)». In risposta al regime iraniano, e in sostegno dello scrittore britannico vittima di una fatwa, il settimanale francese aveva pubblicato una ventina di disegni satirici sulla Repubblica islamica, scatenando le ire dei mullah. «In fondo, senza quel concorso lanciato dagli ayatollah iraniani che volevano ridicolizzare Rushdie, non avremmo forse mai avuto l’idea di pubblicare delle caricature di Maometto tredici anni dopo né oggi quelle dell’attuale Guida suprema iraniana. Solo per questo motivo possiamo dirgli grazie!», ha scritto Riss.

Charlie Hebdo contro i regimi islamici

Quella con l’Iran, tuttavia, è soltanto l’ultima guerra a distanza tra la rivista parigina e i regimi islamici, tra una visione del mondo dove la laicità e il libero pensiero sono i valori cardine e una opposta dove l’unica bussola sono le leggi di Allah. Nell’ottobre del 2020, Charlie pubblicò una copertina scorrettissima consacrata al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, rappresentandolo sbracato su una sedia, in mutande e con la pancia di fuori, mente alza il vestito di una donna velata fino a scoprirle il fondoschiena e grida: “Oh! Il profeta!”.

Anche in quel caso, la vignetta si trasformò in un caso diplomatico. E fu il culmine di un braccio di ferro che durava da settimane tra il presidente francese, Emmanuel Macron, e il suo omologo turco, sul rapporto fra stato e religione, sulla libertà d’espressione e l’integrazione dell’islam in occidente. Erdogan consigliò addirittura a Macron di sottoporsi a degli “esami per valutare la sua salute mentale”, invitò non solo i suoi concittadini, ma tutti i musulmani del mondo a boicottare i prodotti francesi, e presentò una querela per vilipendio e diffamazione nei confronti del direttore, del caporedattore e del caricaturista autore della vignetta di Charlie, a cui si aggiunse l’apertura di un procedimento penale d’ufficio da parte della procura di Ankara.

Quando il Pakistan si infuriò

C’entra Charlie Hebdo anche nelle proteste di massa avvenute in Pakistan nel settembre 2020 contro la Francia. Alla vigilia dell’apertura del processo sull’attentato del 7 gennaio 2015, la rivista decise di ripubblicare le vignette su Maometto che avevano fatto infuriare gli islamisti e spinto i fratelli Kouachi a compiere una strage. «Smettetela di abbaiare cani francesi», «Boicottate i prodotti francesi», gridavano i manifestanti bruciando la bandiera della Francia, sostenuti a parole dall’allora primo ministro pakistano, Imran Khan, che denunciò “l’islamofobia” di Charlie Hebdo.

Nel febbraio del 2015, sempre in Pakistan, l’ex ministro Haji Ghulam Ahmad Bilour, davanti ai deputati del Parlamento, promise un premio di 200mila dollari a chi uccideva “il proprietario” del settimanale umoristico francese.

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