«Il Centrafrica è un paese che muore lentamente, lo Stato è minacciato nelle sue fondamenta dai ribelli»

L’arcivescovo di Bangui, monsignor Diudonné Nzapalainga, parla in Francia della situazione della Repubblica Centrafricana dopo il colpo di Stato dei ribelli Seleka

«Il Centrafrica è un paese che sta morendo lentamente, la coesione sociale è seriamente compromessa». Questo l’appello lanciato dall’arcivescovo di Bangui, monsignor Diudonné Nzapalainga, perché la comunità internazionale aiuti la Repubblica Centrafricana, devastata dalle violenze dei ribelli Séléka, perpetrate dopo il colpo di Stato che il 24 marzo ha portato al potere l’ex capo della ribellione, Michel Djotodia.

«TENSIONI RELIGIOSE». In questi giorni l’arcivescovo è a Parigi per incontrare i responsabili del governo francese e della Chiesa. Ai giornalisti ha rilasciato dichiarazioni drammatiche: «Non solo le ripetute esazioni di Séléka contro i cristiani hanno creato tensioni religiose, ma l’invio di “signori della guerra” nelle diverse regioni del paese sta creando dei feudi» autonomi dal governo centrale. Ecco perché «lo Stato è minacciato nelle sue fondamenta».

«SITUAZIONE INAUDITA». La situazione del paese è stata definita anche pochi giorni fa da tutti i vescovi della Repubblica Centrafricana riuniti in un’Assemblea a Bimbo «inaudita». I prelati hanno incoraggiato l’istituzione di «una piattaforma di dialogo tra leader religiosi cattolici, protestanti e musulmani» per «dissipare eventuali tensioni religiose». I vescovi hanno anche chiamato a contrastare «nepotismo, clientelismo, corruzione, impunità, accaparramento dei beni pubblici e violazione dei diritti umani», che dal giorno del colpo di Stato sono proliferati in Centrafrica.

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