Centoventi di questi anni

Quattro anziani per ogni bambino e una prospettiva di vita vicina al secolo. È il prodigioso, tremendo trionfo della medicina “per sani” in una Terra senza figli

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Lo slogan pubblicitario di maggior successo di tutti i tempi e in tutto il mondo? Non state a spremervi le meningi alla ricerca di qualche prodotto ultra famoso. È molto, incomparabilmente di più di un prodotto, e non l’ha inventato, almeno credo, una qualche agenzia pubblicitaria, perché viene dai recessi, dalla pancia proprio della più scadente tra le scienze e le arti, ma di gran lunga la migliore nel mischiare scienza e arte e nella capacità di reinventarsi e vendersi: la medicina. E lo slogan è “Prevenire è meglio che curare”.

Conoscete qualcosa di più universale, risaputo, accettato, incontestato, digerito, metabolizzato, introiettato? E, ancora, qualcosa di più rivogato, reinterpretato e rivenduto in centinaia e migliaia di salse e confezioni? Impossibile. Il mondo, si può ben dire, ruota attorno a questo placebo per sani, questa stupefacente invenzione che segna il passaggio dalla medicina che cura i malati alla medicina che guarda ai sani, e per ciò stesso dalla medicina dei pochi a quella dei moltissimi e mai bastanti medici (non meno di 250 mila solo in Italia), dalla medicina che ha un suo spazio e un suo confine alla medicina che non ha più né spazi né confini perché il suo target è semplicemente l’umanità intera, ogni uomo da prima della culla fino a dopo la morte. L’Apocalisse? È da qui che dobbiamo aspettarcela. E sarà un’Apocalisse del bene e non del male, o se preferite di un bene dalle basi così presuntuose e insieme fragili e opinabili da potersi trasmutare in male, come immancabilmente succederà non appena le condizioni arriveranno a maturazione. E sarà presto. Spieghiamoci.

Meglio che curare
Col concorso della genetica, che si sta esercitando a mani basse sulle ipotesi futuribili, e perciò stesso fascinose e meritevoli d’ogni sforzo d’approfondimento, la medicina ha stabilito che si può pressoché evitare di morire, giacché il corredo genetico, si argomenta, stabilisce che, minimo, siamo fatti per durare sui 120 anni. Purché si insista col prevenire, va da sé. E infatti c’è una qualche forma di prevenzione letteralmente per tutto, malattia e difetto, menomazione e infezione, infiammazione e handicap, alterazione e consunzione. Osteoporosi? Perdita di calcio delle ossa conseguente al passare degli anni e al sopravvenire della vecchiaia. Inevitabile. Questo una volta, oggi ci sono esami cure medicinali trattamenti esercizi che fanno il miracolo, e se si può prevenire l’osteoporosi non ci si verrà a raccontare che non si può prevenire il diabete o la cirrosi, l’ipercolesterolemia o l’ipertensione, il morbillo o la pertosse, l’infarto o il cancro. Se ti ammali è perché non previeni, caro il mio sempliciotto. Mai la malattia è stata, più di oggi, una colpa. Mille anni fa era un castigo divino, che calava come mannaia sulle cattiverie degli uomini; oggi è la vendetta della mancata prevenzione, e dunque una precisa tua colpa personale. Firmato, la medicina preventiva per i sani.

Le due controindicazioni letteralmente apocalittiche di questo modo di vedere le cose, che pure va tanto per la maggiore da non incontrare ostacoli, o da far sembrare anche soltanto un parere contrario come un prodotto diretto della più cupa ignoranza medievale o della più irrecuperabile delle insanie mentali – le due controindicazioni apocalittiche, dicevo, sono le seguenti, entrambe certe, anzi certissime, sol che si lasci lavorare la medicina: la prima è quella di un’umanità tutta conquistata all’ordine simil monastico dell’alzati (da letto), se appena ce la fai, e mettiti a prevenire qualcosa di te, perché qualcosa avrai bene che non gira proprio come dovrebbe, giusto? E se proprio non ce l’hai ora vuol dire che ti arriverà tra capo e collo quando meno te l’aspetti, cosicché non hai che l’imbarazzo della scelta a proposito del dove cominciare per prevenire. Dolorino all’alluce o giramento di scatole vanno benissimo: il giramento di scatole è pur sempre condizione disforica che provoca stipsi o ulcera, o entrambe, non lo sapevi caro il mio sempliciotto?

Sarà uno spettacolo
E dunque un’umanità di coatti o pressappoco, vagante alla ricerca del suo traguardo di 120 anni minimo di esistenza preventiva trascorsa a prevenire il prevenibile, vale a dire tutto. Prospettiva terrificante e dunque apocalittica, d’accordo, ma mai quanto la seconda, che a ben vedere si configura come l’ovvia continuazione, e compimento, della prima: un’umanità che avendo prevenuto tutto il prevenibile raggiunge pressoché al gran completo il pur sempre mitico, sebbene a portata di mano di chiunque vi aspiri, traguardo dei 120 anni minimo di esistenza. Confesso, vorrei proprio vederla questa umanità alla spasmodica rincorsa della prevenzione diventare infine incartapecoritica centoventenne. Sarà uno spettacolo, l’Apocalisse del bene. Anche se non ce la faccio a immaginarla riversa a miliardi sulle spiagge della Florida tra Daiquiri con fettina di limone incorporata nel bordo del bicchiere e Gin Fizz stillante di cubetti di ghiaccio, il tutto con supporto di pannoloni a gogò. Ma forse sbaglio. Forse la produzione del rhum bianco per il Daiquiri e del gin per il Gin Fizz e di carta e plastica per i pannoloni raggiungerà volumi ciclopici impensabili, anche se non vedo come, con quale forza lavoro, ma chissà la scienza per allora quali soluzioni avrà approntato, magari eserciti di robot (pagheranno mica loro i contributi per le pensioni delle sconfinate moltitudini di vecchi?).

Dove li metteremo quegli eserciti è un altro problemino, giacché il mondo sarà un tantino affollato, niente rispetto ad oggi, che pure non è propriamente disabitato, ma tralasciamo. Tralasciamo perché so perfettamente che qui giunto, caro lettore, ti chiederai se non mi stia semplicemente divertendo, e dunque disquisendo a ruota libera del nulla. Disquisire? A ruota libera? Del nulla? Vorrai scherzare, è già tutto scritto nero su bianco, sol che intendiamo leggere e capire.

I calcoli dell’Onu
Tempo la fine del secolo, calcola la Population Division dell’Onu, e saremo minimo 11,3 miliardi, il 30 per cento di ultrasessantenni e un miserevole 13 per cento di bambini e ragazzi e giovincelli fino a 15 anni – con Italia e Giappone e Svizzera e altri paesi con quattro anziani quattro per ogni bambino e ragazzo. Vivremo in media più di 83 anni, e solo grazie all’Africa che si troverà ancora a rincorrere, perché nel resto del mondo si toccherà quota 90, con punte come quella italiana di quasi 95.

Sei allora pregato, caro lettore di Tempi, di immaginarti il tuo paese, già oggi ultra vecchio e pigro ed egoista da non sfornare più un pargolo neppure con il forcipe, quando avrà domani, un domani dietro l’angolo, una speranza di vita che avvicina i cent’anni, senza bambini, con minimo una ventina di milioni di vecchi, dei quali dieci ultravecchi, in una popolazione di cinquanta milioni già sulla via del tramonto demografico e del deperimento organico e fisiologico irreversibile. Immaginatelo, e pensa che secondo genetica e medicina e biologia la prevenzione farà ancora di più e meglio. Molto di più e molto meglio. E cosa, ancora, di grazia? Cosa manca ancora, a noi italiani e al mondo, per raggiungere la più inesorabile e triste e malinconica e pure un tantino insulsa delle Apocalissi del bene anche soltanto immaginabile?

Foto Ansa

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