C’è una “coscienza nascosta” negli stati vegetativi

Un importante studio sui soggetti in veglia non responsiva mostra che l'eutanasia non è l'unica via per "risolvere la questione" con queste persone

I soggetti in veglia non responsiva (volgarmente “stati vegetativi”) «non mostrano segni di consapevolezza di sé stessi e dell’ambiente circostante e non possono interagire con gli altri. Le risposte finalizzate agli stimoli esterni sono assenti, così come lo sono la comprensione e l’espressione del linguaggio».

Questa è, un po’ brutalmente, la definizione che viene data di queste persone. Alle famiglie che le accudiscono a casa, o nei nuclei protetti di varie strutture, questa “classificazione” è sempre apparsa troppo generalista, se non fonte di enormi dubbi, come la controversa domanda: “Che senso ha vivere così?”.

Se la risposta dei parenti o dei medici che li accudiscono non è mai stata messa in discussione – “si cura la persona al di là del fatto che essa possa riprendere o meno le sue facoltà” – il mondo moderno o post-moderno invece, infatuato dal concetto dell’autodeterminazione (termine che andrebbe indagato a fondo) e soprattutto dalla capacità di produrre e consumare, da tempo ritiene che la via eutanasia sia la forma migliore per offrire “pace” a questi uomini e donne e alle loro famiglie. Ora però, non una posizione morale, confessionale, o ispirata al sacro, ma il risultato scientifico di alcuni scienziati sta mettendo in discussione le “verità” che sembravano non poter essere scalfite da alcun “dubbio laico”.

Ascoltare e comprendere

Una ricerca condotta da un team della Columbia University negli Stati Uniti e pubblicata sulla rivista Brain ha rivelato che «una percentuale significativa di pazienti in coma mostra segni di coscienza nascosta. Una condizione nota come dissociazione motoria cognitiva (CMD). La CMD si verifica in circa il 15-25% delle persone con lesioni cerebrali causate da traumi cranici, emorragie cerebrali o arresti cardiaci. In questi pazienti, c’è una sorta di “interruzione” tra le istruzioni provenienti dal cervello e i muscoli necessari per eseguire tali istruzioni. La ricerca ha permesso di identificare modelli di lesioni cerebrali condivisi tra pazienti con CMD e confrontarli con quelli senza CMD».

Questa analisi ha permesso di ottenere una visione chiara delle differenze. Gli elettroencefalogrammi (EEG) sono stati utilizzati per osservare l’attività cerebrale di 107 partecipanti allo studio. Quando è stato chiesto loro di eseguire semplici movimenti, 21 persone sono state identificate come portatrici di CMD. I risultati sono stati poi integrati con scansioni di risonanza magnetica (MRI) e tecniche di apprendimento automatico per individuare schemi associati a specifiche regioni e attività cerebrali. Tutti i pazienti in coma con CMD avevano strutture cerebrali intatte legate alla comprensione dei comandi. Questo suggerisce che le istruzioni verbali potrebbero effettivamente essere ascoltate e comprese. Tuttavia, c’erano lacune strutturali nelle regioni legate all’azione fisica, spiegando l’incapacità di muoversi in risposta.

La fine della storia

Jan Claassen, neurologo della Columbia University che lo scorso ottobre ha iniziato a studiare questi casi a partire da quello di una donna in coma, esprime ottimismo: «Il nostro studio mostra che potrebbe essere possibile cercare la coscienza nascosta utilizzando l’imaging cerebrale strutturale ampiamente disponibile. Avvicineremo la rilevazione della CMD all’uso clinico generale».

“La fine della storia” nonostante i molti fans, è ben lontana dal suo epilogo. L’unica via è quella eutanasica promossa da Cappato nelle cliniche svizzere? No. Proprio la scienza, e non il ripiegamento confessionale, ci aprono le porte a dubbi che non potremo lasciare cadere nel vuoto. Dietro un corpo immobile, c’è sempre una persona, una storia, una famiglia, amici. E basterebbe stare qualche ora con loro, per capire che ognuno ha una sua irriducibile unicità, una promessa non mantenuta, un futuro tutt’altro che destinato ad oltrepassare i confini geografici. Forse ci sono altri “confini” da esplorare. Quelli semplici e naturali della vita.

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