«Buonasera, sono Francesco». Il Papa raccontato da Ferrara, Tornielli, Messori

Gli editoriali con cui i tre giornalisti spiegano la figura, i problemi e le prospettive del nuovo pontefice Jorge Mario Bergoglio

L’eccezione sta già nel nome. Lo sottolinea Giuliano Ferrara nel suo editoriale sul Foglio di oggi, parlando dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio a nuovo Papa: «Un gesuita che si chiama Francesco, due eccezionali notizie in una (…). Lo stile annunciato è di disarmante ed elegante povertà, in coerenza con il nome prescelto. Ha messo l’accento sul suo essere vescovo di Roma, una bella città da evangelizzare. Ha fatto gli auguri al vescovo emerito, Joseph Ratzinger. Ha istaurato un rapporto speciale con il popolo dei fedeli raccolto nella città, chiedendo loro di pregare per lui. Ha citato con amore più volte la madre della Chiesa, Maria Vergine. Ha sorriso il minimo indispensabile, con inflessione ironica e malinconica insieme. Offriva l’immagine di una dolorosa consapevolezza (…)».

Dopo una lunga analisi storica delle vicende dell’ordine dei Gesuiti, Ferrera torna sulla scelta del nome, che gli permette così di essere «a sorpresa l’eroe pieno di furore e candore del gesuita moderno, novecentesco, che si è battuto per il Concilio Vaticano II e per un vasto aggiornamento della Chiesa in direzione di un secolo che sfugge, di una risemina della fede nel campo vasto della povertà del mondo, in ogni senso. Buonasera, vengo dalla fine del mondo. Lo ha detto quell’uomo di Dio, imbarazzato e mite, ma così diverso dal predecessore. Benedetto aveva passato la vita a parlare con studenti e professori, e a svellere l’errore non caritatevole dalla piattaforma di verità sulla quale pretende di essersi installata la Chiesa della Rivelazione. Papa Bergoglio con il nome che ha scelto mostra di voler parlare agli uccellini, e soprattutto ai lupi».

Anche Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, commenta la scelta del nome, e la velocità con cui si è arrivati a questo cardinale poco quotato nelle liste dei papabili: «Un candidato neanche tanto nascosto c’era. Solo così si spiega la rapidità di un Conclave che ha avuto quasi gli stessi tempi di quello di Ratzinger, senza Ratzinger. Era quello che prendendo la parola in presenza dei colleghi porporati, la scorsa settimana, aveva fatto l’intervento più breve, senza consumare i cinque minuti di tempo consentiti. E che aveva parlato col cuore di una Chiesa capace di mostrare il volto della misericordia di Dio. (…)». La sua semplicità ha disarmato tutti: «La priorità, per tutti gli elettori, è stata quella di eleggere un uomo di Dio, innanzitutto testimone. Anche la scelta di apparire al balcone accompagnato dal Vicario di Roma, il cardinale Agostino Vallini, e l’insistenza con cui ha sottolineato il legame di Vescovo con la diocesi della Città Eterna, è un segnale importante. Il segnale di un pontificato che sottolinea innanzitutto il legame con la Chiesa locale, quello del pastore col suo popolo».

«Non è facile fare previsioni sulle scelte future del nuovo Papa», chiude Tornielli nel suo editoriale, «su chi sceglierà di portare alla Segreteria di Stato, su come intende affrontare il tema della trasparenza finanziaria e i problemi dello Ior, su quali decisioni prenderà dopo aver letto, con dolore, le pagine del dossier di Vatileaks. Ma fin dal nome e dallo stile umile del suo primo presentarsi ai fedeli, alla Chiesa e al mondo, ieri sera è stato possibile comprendere a tutti che questa istituzione con duemila anni di storia sulle spalle, ancora una volta ha saputo rinnovarsi e stupire. Un gesuita sceglie il nome francescano, sceglie di chiamarsi come il grande Santo italiano, il grande riformatore della radicalità del Vangelo, è un segno di speranza e un invito al cambiamento per la Chiesa tutta».

Per Vittorio Messori la scelta va letta in chiave geopolitica, come quando si era scelto il polacco Wojtyla durante gli anni della Guerra fredda. È una scelta che fa fronte ad un’urgenza, «anche se in Europa non si conosce la serietà dell’evento. Succede, cioè, che la Chiesa romana sta per perdere quello che considerava il “Continente della speranza”, il Continente cattolico per eccellenza nell’immaginario comune, quello grazie al quale lo spagnolo è la lingua più parlata nella Chiesa. Il Sudamerica, infatti, abbandona il cattolicesimo al ritmo di migliaia di uomini e donne ogni giorno. Ci sono cifre che tormentano gli episcopati di quelle terre: dall’inizio degli anni Ottanta a oggi, l’America Latina ha perso quasi un quarto di fedeli (…)». A favore di Bergoglio, oltre la preparazione e lo spessore umano, il fatto di essere «al contempo iberoamericano ed europeo. La sua è una famiglia di immigrati recenti dall’astigiano, l’italiano è la sua seconda lingua materna: poiché per la Chiesa non sono urgenti solo i problemi di oltreatlantico ma anche quelli di un riordino energico della Curia, occorreva un uomo che sapesse fronteggiare certe situazioni vaticane».

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