Brexit. Lasciare o rimanere? Il problema è l’Europa

L'analisi del premio Nobel americano per l'economia, Michael Spence: il problema non sono i soldi, ma la governance. È contro la Brexit ma dice: "L'Ue non funziona"

In o out, remain o leave, Cameron o Farage, nazionalismo o europeismo, Brexit o non Brexit. A un giorno dal voto la Gran Bretagna è in fibrillazione per lo storico referendum con il quale potrà decidere se rimanere o uscire dall’Unione Europea. Non c’è esperto, autorità o vip internazionale che non abbia detto la sua su questo tema complesso. Ma per Michael Spence è ora di smetterla di fare la morale agli inglesi.

CRISI UGUALE PER TUTTI. Il premio Nobel americano per l’economia (2001) cerca di uscire dall’eterno dibattito economico interno – uscire dall’Unione Europea conviene o no? – e prova ad allargare il campo della visuale. La crisi economica non l’hanno sentita solo i britannici, ma tutti gli europei, così come gli americani, e «la globalizzazione, insieme ad alcuni aspetti della tecnologia digitale, ha contribuito alla polarizzazione del lavoro e del reddito, mettendo sotto pressione la classe media in ogni paese», scrive sul Council on Foreign Relations. La crisi, con la sua doppia eredità fatta di «crescita troppo bassa e disoccupazione», ha colpito tutti.

ASSENZA DI POLITICA. Vista l’importanza dei recenti «shock economici», i cittadini europei «sarebbero stati meno infelici se avessero avuto prova di uno sforzo comune – basato su una genuina condivisione degli oneri – per affrontare questi temi». Se l’Unione Europea, cioè, fosse davvero un’Unione e avesse messo in campo uno «sforzo multinazionale», le cose sarebbero andate diversamente. Ma davanti alla totale assenza di politica, che gli sforzi di una Banca centrale «non possono sostituire», «la risposta naturale in una democrazia è rimpiazzare i decisori politici e provare qualcosa di differente. Dopo tutto, la democrazia è un sistema che va avanti per esperimenti e per espressione della volontà dei cittadini». Ovviamente, «il “nuovo” può non essere migliore, anzi può essere anche molto peggiore», ma non si può demonizzare l’intero sistema democratico per essere ciò che è.

L’UE NON È DEMOCRATICA. Inoltre, continua il premio Nobel, l’Unione Europea ha un problema comune anche ad altri paesi del mondo sviluppato, «ma in forma molto più grave: le forze al potere che operano al di là del controllo degli ufficiali eletti stanno cambiando la vita dei cittadini, lasciandoli con un sentimento di impotenza». Al di là di ogni problema economico che la Brexit può o non può provocare, insomma, il nodo resta «la governance nell’Unione Europea», che attualmente non è democratica. «La Brexit fa parte di questo dramma più grande» e non si possono incolpare gli inglesi per questo. Ecco perché non serve continuare a parlare di soldi ed economia: «Se fosse solo questo il problema, il risultato sarebbe una conclusione scontata a favore del rimanere [nell’Ue]».

SI PUÒ RIFORMARE DALL’INTERNO? Spence è convinto, al pari di tanti inglesi, «che si starebbe meglio con un’Europa unita e democratica, una forza importante sia per la stabilità che per il cambiamento». E che bisogna «fare un altro tentativo per riformare la struttura di governance dell’Europa». È possibile riuscire? «Questa è la mia speranza, anche se siamo al confine della pia illusione. Io, come tanti altri outsider, spero che i britannici votino per restare e riformare dall’interno l’Unione Europea». In ogni caso, «il voto dovrebbe spingere a un grande ripensamento delle istituzioni dell’Unione Europea. L’obiettivo dovrebbe essere ripristinare il senso di controllo e responsabilità dell’elettorato. (…) È un compito arduo, ma non credo sia impossibile».

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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