Attenzione a non cadere nel “trappolone” emotivo della foto del piccolo Omran

L'immagine del povero bambino siriano è usata dai ribelli jihadisti a fini propagandistici. Ma mostra solo un aspetto del conflitto, oscurando il contesto dell'assedio ad Aleppo

Come rimanere impassibili davanti alla drammatica fotografia del piccolo Omran Daqneesh che campeggia su tutti i siti e giornali del mondo? Non è possibile e nemmeno giusto. È un’immagine che racconta della tragica situazione di Aleppo, la “nuova Sarajevo”, la città siriana di cui Tempi vi ha parlato tante volte, e non solo in agosto.
Ma quella immagine illustra solo una “parte” della situazione e, non possiamo nascondervelo, viene utilizzata perlopiù a fini propagandistici e non innocenti. Il dramma di Omran è vero, ma occorre comprendere anche il contesto generale in cui tale dramma si sta sviluppando per formarsi un corretto giudizio sugli avvenimenti.

RIBELLI MODERATI? Lo fa bene oggi l’inviato ed esperto del Giornale Gian Micalessin che sul quotidiano elenca cinque motivi utili a non cadere in quello che lui definisce un “trappolone” emotivo. Il primo dato su cui si deve riflettere, infatti, è la fonte che ha diffuso la fotografia: si tratta dell’Aleppo Media Center, la centrale di propaganda dei ribelli. Ribelli di cui Tempi vi ha spesso parlato, spiegando che non si tratta di impavidi e disinteressati combattenti per le libertà civili, ma di miliziani jihadisti legati ad Al Qaeda che controllano la zona est della città.

ALEPPO OVEST. «Ad assediare Aleppo – scrive Micalessin – non sono le forze governative, ma i ribelli jihadisti che, nell’estate del 2012, entrarono in Siria dal confine turco e circondarono la città. Aleppo, nella strategia dei gruppi armati, appoggiati dalla Turchia di Erdogan, dall’Arabia Saudita e dal Qatar, doveva diventare la capitale dei territori liberati e la sede di un governo provvisorio pronto – dopo il riconoscimento dell’Onu, dell’America di Obama e dell’Europa – a prendere il posto del regime di Bashar Assad. Il risultato sono stati invece la nascita dell’Isis e il perdurare di una guerra costata oltre 300 mila vite».
La città è divisa in due: nella parte est comandano i ribelli di Jabhat Fateh al Sham (prima conosciuti col nome di Jabat Al Nusra) e da tempo bombardano la parte ovest, controllata dai governativi, e dove vive, non sottoposta alla sharia e godendo di una certa libertà, gran parte della popolazione. Ad ovest vive anche padre Ibrahim Alsabagh, parroco francescano che i lettori di Tempi conoscono bene e che ha sempre invitato gli occidentali a non farsi ingannare dalle fonti d’informazione che vedono solo una faccia della medaglia. Questi ribelli, infatti, con la scusa dell’Isis, tentano di raggiungere i loro scopi, in maniera violenta e secondo una logica non molto diversa da quella degli uomini del Califfato. Per ogni Omran, insomma, vi sono altrettanti bambini nella parte ovest che, quotidianamente, subiscono le medesime angherie.

SDEGNO OCCIDENTALE. «La narrativa “politicamente corretta” del conflitto siriano – scrive ancora Micalessin – lo descrive come lo scontro tra i ribelli appoggiati della maggioranza sunnita del Paese e il regime del dittatore Bashar Assad sostenuto da quella minoranza alawita, inferiore al 22 per cento della popolazione, a cui appartiene la sua famiglia. Se così fosse Aleppo, città di quasi due milioni di abitanti in larga parte sunniti, sarebbe caduta da un pezzo. Invece i civili sunniti di Aleppo, come i militari e gli ufficiali di un esercito anch’esso a maggioranza sunnita, hanno preferito restare con il regime anziché schierarsi con dei ribelli considerati troppo fanatici e troppo legati ad interessi stranieri».
È una guerra e nessuno è incolpevole: ognuno fa i suoi interessi. Assad non è Madre Teresa di Calcutta, ma è un fatto che il dittatore siriano, appoggiato da Mosca, avevano cercato una soluzione per gli abitanti della città assediata, proponendo anche un salvacondotto ai militanti della parte est. Sono stati i ribelli a impedire questo tentativo di riconciliazione. «Oggi l’accerchiamento dei quartieri ribelli per mano russa e governativa – conclude Micalessin – suscita lo sdegno dei grandi media e spinge il ministro degli Esteri tedesco Franz-Walter Steinmeier a proporre un ponte aereo per rifornire i quartieri est. L’assedio ribelle ai danni di gran parte della città di Aleppo, durato dall’estate 2012 alla scorsa primavera, non ha, invece, mai mosso a compassione nessuno. Come ha più volte ripetuto al Giornale il vescovo cattolico di Aleppo Monsignor Abu Khazen “solo l’intervento russo ha dato respiro a questa città. Per anni tutti ripetevano di voler combattere l’Isis e il fanatismo, ma solo i russi l’hanno fatto veramente”».

Foto Ansa

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