Arcigay, Arciuteri

L'utero in affitto trasforma la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne nella fiera del cortocircuito

Tre righe tre sull’autocampagna dell’Arcigay scodellataci in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Giornata che è diventata in fretta la fiera del cortocircuito: dopo aver ridotto la donna a utero, i figli a prodotto e la nascita a fabbricazione, si capisce che l’unica fantasiosa campagna rimasta per giustificare lo sfruttamento della filiera fosse quella per l’autodeterminazione.
Ecco allora Arcigay dare in pasto ai social una carrellata di foto manifesto di donne senza volto, immortalate dal collo a mezza coscia in biancheria, col messaggio “Nessun controllo sul mio corpo. L’autodeterminazione delle donne non si tocca”. «In tutte le istantanee il messaggio che emerge è positivo – spiega Natascia Maesi, responsabile Politiche di genere e formazione di Arcigay –: le donne sono pronte a lottare per difendere il proprio diritto all’autodeterminazione, fermando la mano che viola, la mano che abusa, la mano che interviene senza consenso». A meno che si tratti di mani facoltose, ovviamente: “Jackie, gestante per altri/altre”, immortalata col suo bel pancione in stato avanzato di gravidanza, non ferma alcuna mano, bensì allunga la sua su quelle strette di due uomini come a siglare un patto. «Essere madre è una libera scelta. Ma anche non esserlo, lo è», c’è scritto a margine, «l’espressione “utero in affitto” è violenza che si annida nel linguaggio».

L’EFFETTO BRANCO CONTRO ARCILESBICA E MANCUSO

La campagna ha naturalmente scatenato l’effetto branco contro chi, come Arcilesbica o Aurelio Mancuso, hanno denunciato un tale «capolavoro di autosmascheramento, Arcigay scomoda l’autodeterminazione delle donne per chiedere implicitamente il libero accesso al corpo femminile fecondo. Sono disgustata da questo manifesto perché distorce le parole del femminismo. “Essere madre è una libera scelta, ma anche non esserlo lo è” non significa che si possano fare figli per chi li commissiona!» (così Cristina Gramolini, presidente nazionale Arcilesbica) e «la summa (involontaria?) di un pensiero patriarcale che nemmeno l’arte medioevale sapeva così chiaramente proclamare. Se il corpo di un bambino diventa un possibile dono, o oggetto di contrattazione commerciale, ha vinto il desiderio ad ogni costo a detrimento dei diritti inviolabili soggettivi dei nascituri» (così l’ex presidente di Arcigay).

DOVE SI ARRIVA SE UN BAMBINO È UN CORPO

Esatto, il bambino. Stando alle reazioni prevedibili sui social, alle altrettanto prevedibili parole di condanna da parte di femministe e di chi ha sempre ricordato che «non esiste alcun diritto imprenscindibile alla paternità, né nel nostro ordinamento giuridico né nel diritto internazionale» (ancora Mancuso), la capriola cosmica di Arcigay ha centrato un obiettivo. Non quello di aver saputo approfittare del protocollo tutto hashtag e indignazione previsto dalla giornata contro la violenza sulle donne per fare un megaspottone a una pratica espressamente vietata dall’ordinamento giuridico italiano, dal parlamento europeo e dalla Grande Chambre di Strasburgo, il massimo organo che vigila sulla Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Non quello di trasformare il format della denuncia e annesse reazioni in un altisonante, per quanto sgangherato, momento promozionale dell’utero in affitto.

L’obiettivo centrato sta nell’aver dimostrato dove si può arrivare quando la più banale delle verità, cioè che non si diventa madre senza un padre, viene soppiantata da un ventaglio di ipotesi, contratti e fantasiose alternative; quando l’utero, che gay e femministe concepiscono comunque come strumento di potere, non è più solo il luogo dell’apparire di un altro; quando l’altro, il bambino, diventa un corpo, un’anonima materia per chi ha fatto del corpo un terreno di scontro e di “come viene confezionato il corpo” l’oggetto del dibattito.

VENDERLO NO, ABORTIRLO SÌ

Ecco dove si arriva quando si riduce la donna a utero, i figli a prodotto, la nascita a fabbricazione: si arriva in tutti i casi al cortocircuito. Che c’azzecca, verrebbe da chiedersi, la radicale resistenza al diritto al figlio con la libera scelta e il diritto all’aborto? Perché la vendita di un bambino rappresenterebbe una violazione di un diritto umano fondamentale e togliergli la vita sarebbe un diritto umano fondamentale? Se la campagna dell’Arcigay è un autogol, il giusto contrattacco delle femministe non cambia il risultato.

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